“Said in Italy” del 22 febbraio 2017
Verso la fine del mese di febbraio 2016 è assurto agli onori della cronaca il caso di Matteo, un intraprendente bambino di otto anni resosi protagonista di una vicenda incentrata su un fatto di lingua: autore, a margine di una lezione sugli aggettivi, del neologismo petaloso, di primo acchito bollato con indulgenza dalla maestra del bambino perché esteticamente gradevole e dunque in qualche modo gradevole pur nella sua insensatezza («Quando ho letto il compito ho segnato errore – racconta Margherita Aurora al telefono – ma aggiungendo accanto al cerchio rosso che si trattava di un errore bello» Corriere.it del 24 febbraio 2016), Matteo scrive, su suggerimento della maestra stessa, all’Accademia della Crusca, proponendo un quesito circa la sua creazione, ispirata da un fiore.
Questa la risposta della redazione dell’istituto nazionale per la salvaguardia e lo studio della lingua italiana
Caro Matteo,
la parola che hai inventato è una parola ben formata e potrebbe essere usata in italiano così come sono usate parole formate nello stesso modo.
Tu hai messo insieme petalo + oso > petaloso = pieno di petali, con tanti petali
Allo stesso modo in italiano ci sono: pelo + oso > peloso = pieno di peli, con tanti peli, coraggio + oso > coraggioso = pieno di coraggio, con tanto coraggio.
La tua parola è bella e chiara, ma sai come fa una parola a entrare nel vocabolario? Una parola nuova non entra nel vocabolario quando qualcuno la inventa, anche se è una parola “bella” e utile. Perché entri in un vocabolario, infatti, bisogna che la parola nuova non sia conosciuta e usata solo da chi l’ha inventata, ma che la usino tante persone e che tante persone la capiscano. Se riuscirai a diffondere la tua parola fra tante persone e tante persone in Italia cominceranno a dire e a scrivere Com’è petaloso questo fiore o, come suggerisci tu, le margherite sono fiori petalosi, mentre i papaveri non sono molto petalosi, ecco, allora petaloso sarà diventata una parola dell’italiano, perché gli italiani la conoscono e la usano. A quel punto chi compila i dizionari inserirà la nuova parola fra le altre e ne spiegherà il significato.
È così che funziona: non sono gli studiosi, quelli che fanno i vocabolari, a decidere quali parole nuove sono belle o brutte, utili o inutili. Quando una parola nuova è sulla bocca di tutti (o di tanti), allora lo studioso capisce che quella parola è diventata una parola come le altre e la mette nel vocabolario.
Spero che questa risposta ti sia stata utile e ti suggerisco ancora una cosa: un bel libro, intitolato Drilla e scritto da Andrew Clemens. Leggilo, magari insieme ai tuoi compagni e alla maestra: racconta proprio una storia come la tua, la storia di un bambino che inventa una parola e cerca di farla entrare nel vocabolario.
Grazie per averci scritto.
Un caro saluto a te, ai tuoi compagni e alla tua maestra.
Maria Cristina Torchia
Redazione della Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
Tre i pilastri che sorreggono la risposta dell’Accademia:
- petaloso è ben formato, ovverosia rispetta la regola con cui si formano le parole della sua categoria di riferimento;
- petaloso potrebbe essere usato, alla stregua di altre parole in –oso già in uso: nulla perciò ne pregiudica le potenzialità di parola a tutti gli effetti;
- affinché possa diventare parola a tutti gli effetti, petaloso dovrà circolare tra i parlanti ed entrare a far parte delle loro possibilità espressive grazie al suo essere dotato di sensatezza oltre che di conformità con la regola di formazione di un tipo di aggettivi derivati italiani.
Ottenuto da petalo attraverso uno dei processi di formazione di più largo uso nella nostra lingua, la derivazione, per l’appunto, a petaloso è stato riconosciuto fin dal primo istante della sua circolazione (da intendersi non in senso assoluto, ma di notorietà presso la massa), un significato apprezzato per ragioni estetiche e, ancor prima, riconosciuto, pur nella novità, per via del suo accostamento a tutti i termini in –oso già presenti nel dizionario mentale dei parlanti che con esso sono via via venuti in contatto.
Prassi abituale e fondante del processo interpretativo, anche quando si tratta di lingua il ricorso al noto per spiegare il nuovo si rivela essere la prima fonte prima di approvvigionamento di conoscenza per l’individuo.
Grazie al ricorso a questa forma di pre-giudizio, estremamente vantaggiosa in special modo in quei casi in cui il contesto linguistico risulta di poca utilità ai fini interpretativi e quello comunicativo magari del tutto assente, la propria conoscenza della lingua funge infatti da supporto nella ricostruzione del significato mancante: e ciò sia quando a sfuggire sia un significato lessicale (petal– prendendo a esempio il nostro caso), sia quando il vuoto riguardi un significato grammaticale (-os-).
Nel caso in questione, per decodificare petaloso una delle prime parole a cui si ricorre – anche in modo non consapevole – è per certo muscoloso ‘pieno, dotato di muscoli’, accostamento che produce per il nuovo aggettivo il significato di ‘pieno di petali’.
Questa attribuzione, d’altra parte, non è da darsi per scontata per tutti gli aggettivi in –oso. Ci sono, infatti, aggettivi che, pur uguali per forma, rientrano in una categoria di significato differente, quali, tra gli altri, adiposo, canceroso, luminoso, amoroso, detti di relazione perché funzionali a esprimere un rapporto stretto con quanto indicato dalla base (adipe, cancro, etc.), o altri ancora, detti di somiglianza, quali gelatinoso o spugnoso.
In –oso si formano inoltre aggettivi aventi per base sostanze materiali, numerabili o non numerabili, o anche immateriali, spesso correlati a condizioni psichiche e stati d’animo, come pauroso, coraggioso, spiritoso, etc.
Non da tutti i nomi si possono dunque formare derivati in –oso, giacché per la formazione di una parola derivata occorre che vi sia una compatibilità tra pezzi di lingua di diversa funzione (basi e affissi, proprio come petal- e -os-): e se per il parlante nativo scoprire questa compatibilità è potenzialmente a portata di mano, grazie al ragionamento fondato su quanto si sa in modo consapevole della propria lingua, per il parlante non nativo è di norma necessario che si raggiunga un livello di conoscenza della lingua seconda o della lingua straniera sufficiente a consentire una riflessione analoga.
Se perciò è verosimile per non dire certo che muscoloso costituisca il modello di riferimento per l’interpretazione di petaloso, quanto al motivo ispiratore del neologismo sussiste più che il dubbio che sia stato “costruito” alla maniera di un altro –oso: quello di inzupposo, a sua volta neologico, incastonato della battuta culminante di uno degli spot di una linea di biscotti Mulino Bianco con protagonista un Antonio Banderas impegnato nella ricerca di un termine adatto a evocare le peculiarità dei suoi nuovi biscotti (inzupposo – questi biscotti sono… inzupposi).
A differenza di quanto però si è letto nei mesi successivi allo sbarco sui media di petaloso, valga uno su tutti il seguente commento:
Dopo #petaloso è il momento di #inzupposo. L’avventura di Matteo e del suo petaloso ha scatenato il web. Ma da oggi questo termine ha un nuovo rivale, inzupposo. E secondo un sondaggio di Skuola.net, la nuova parola da inserire nel vocabolario è senz’altro questa. La storia di Matteo, il bambino che ha inventato il termine petaloso, sta facendo impazzire il web. C’è chi si scaglia contro questa parola, ritenendola un errore puro e semplice, chi non vede l’ora di vederla stampata sul prossimo vocabolario, e poi ci sono i The JackaL. I famosi youtubers, infatti, hanno iniziato una “crociata” sostenendo, ironicamente, l’inserimento tra i neologismi del 2016 del termine inzupposo, utilizzato da Antonio Banderas in un noto spot pubblicitario. La risposta della Mulino Bianco, azienda autrice della pubblicità, non si è fatta attendere. Ma i ragazzi cosa ne pensano? Secondo un sondaggio di Skuola.net, su circa 500 studenti, hanno già scelto e sono dalla parte dei The JackaL (Meteoweb.eu del 25 febbraio 2016)
inzupposo (da qui è possibile raggiungere la pagina dedicata ai biscotti dalla casa produttrice contenente anche lo spot) precede e non segue petaloso, essendo il primo impiegato almeno dal 2014 per indicare il Biscottone oggetto di parodia persino da parte del comico Maurizio Crozza.
C’è anche dell’altro. Petaloso non sembra infatti costituire un caso di “nuovo” in assoluto, dal momento che il medesimo termine era stato già impiegato, segnalato come nuovo e bollato, nella seconda metà del Seicento. Anche in questo caso si attingerà dalla rete, da uno dei non molti siti che ha fatto rimbalzare il contenuto del tweet di Victor Rafael Veronesi, trentenne appassionato di arte e storia dall’indubbia acribia filologica. Il pezzo è ripreso, come nel caso della precedente citazione, da Meteoweb.eu, Giornale online di meteorologia e scienze del cielo e della terra, preferito ad altre fonti perché riportante anche la pagina del volume antico contenente quello che scherzosamente si potrebbe chiamare petaloso I.
Petaloso, ormai, è un aggettivo che ci ritroviamo davanti agli occhi ogni qual volta accediamo a Facebook o accendiamo la televisione. C’è chi ne parla bene e chi ne parla male, ma questa è prerogativa di ogni novità che si rispetti: le opinioni in merito sono sempre controverse. Peccato solo che non si tratti affatto di una novità. E già, perché quello che il piccolo Matteo non poteva sapere, data la sua tenera età, e nemmeno noi adulti potevamo sapere, data la nostra tenera età, è che petaloso è già stato utilizzato oltre tre secoli fa.
La segnalazione in merito, neanche a dirlo, è arrivata da un altro social, Twitter, da parte di Victor Rafael Veronesi, un 30enne appassionato di arte e storia.
Ad utilizzare per primo il termine, tra l’altro per errore, nel lontano 1693, pare sia stato tale James Petiver, botanico e farmacista. Lo inserì in un libro in cui definì petaloso il fiore del peperoncino, ovvero la pimenta. Il testo, il Centuriae Decem Rariora Naturae, è un trattato di specie animali, vegetali e fossili, nel quale sono stati utilizzati termini sia latini che italiani. La parola petaloso fu scritta per sbaglio, dato che il suo autore era erroneamente convinto che fosse un termine latino, per la precisione un ablativo. E già ai tempi era stato accusato, dai suoi colleghi, di non conoscere la lingua in questione. (Meteoweb.eu del 25 febbario 2016).
E chissà che, andando a ritroso, non se ne possa intercettare anche un altro, a sua volta ritenuto la prima testimonianza di uso del termine – a buon diritto e al tempo stesso per errore.
In questo, infatti, sta uno dei grandi motori della lingua: nel fatto che anche quando non effettivamente nuovo, un termine può essere considerato tale per la società parlante di una certa epoca; società che, per l’appunto, lo sente suonare nuovo.
Lo stacco netto, semmai, tra petaloso I e petaloso II, sta nella qualità del giudizio riservato alla neoformazione, che mai avrebbe potuto essere più diverso.
Quanto, ancora, ai dizionari (di consultazione), seppur atteso da molti il termine non sembra aver guadagnato la messa a lemma nelle edizioni in via di pubblicazione, passaggio necessario perché si possa parlare di neologismo a tutti gli effetti (a questo link è possibile reperire l’agenzia sull’esclusione di petaloso dallo Zingarelli 2017: Da ‘bullizzare’ a ‘pitonato’, ecco lo Zingarelli 2017: ‘petaloso’ grande escluso). Ciò a dispetto dei facilmente immaginabili vantaggi che la scelta avrebbe potuto comportare in termini di promozione autoalimentata dai media.
Per trarre bilanci definitivi, ammesso che di effettivamente e lapidariamente definitivo nella lingua ci possa essere qualcosa, occorrerà però aspettare il tempo necessario all’aggettivo per conquistarsi una propria posizione oppure, più probabilmente, per scivolare via, magari in attesa di rievocazioni da amarcord.
Credo che esige obbedienza, la lingua pubblicitaria, ora flebile come un sussurro, ora con toni strillati, ora ammiccanti, ora subdola quando non sfacciatamente menzognera, mira infatti a insinuarsi nella mente di coloro che incontra lungo il suo cammino di seduzione e, una volta catturata l’attenzione di costoro con luci, immagini, suoni e parole, ostenta una resilienza ardua da contrastare.
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