“Il riposo del guerriero” del 26 giugno 2011
E’ curioso e sorprendente che del termine bufala non ci sia traccia nei dizionari etimologici più accreditati.
Eppure l’espressione è tutta una bufala! – o una delle sue varianti – risulta solitamente non solo nota parlante italiano, ma, una volta acquisito il significato che bufala ha all’interno della locuzione, evocatrice di significati e riferimenti esenti da ogni ambiguità.
Come colmare questo vuoto e provare ad ipotizzare una storia per quella bufala che non è “la moglie del bufalo”?
La mia ipotesi è che questa parola possa essere una variante di bubbola, da bubbolare ‘fare bu bu’, voce onomatopeica.
A supporto di questa ipotesi occorre ricercare elementi guardando da una parte in direzione del rapporto latino-indoeuropeo, dall’altra, in una prospettiva interna, al rapporto tra varietà di latino e varietà italiche.
Il fonema b infatti, a dispetto di quanto si possa credere, in inoeuropeo occorre meno spesso di quanto le attestazioni in lingue come il latino possano far pensare, anche perché spesso una b del latino costituisce l’esito di *dh indoeuropeo. Per quanto riguarda l’ipotesi a cui pensavo domenica (si tratta di un’intuizione che devo verificare ma che si fonda proprio su un dato di cui mi sento certa, l’oscillazione b vs f all’interno di parola), dovremmo guardare a questa seconda direzione.
Nel lessico specificamente italico (osco, umbro, falisco) in cui compare un elemento equipollente a latino b, troviamo infatti h se ad inizio di parola (per molti si tratta di un fenomeno originariamente etrusco), come in spagnolo per intenderci (si avrà perciò humus per fumus), e f se in posizione intervocalica (bufalus per bubalus, Mulcifer per Mulciber, rufus per ruber, vafer per vaber, sifilo per sibilo e via dicendo).
L’oscillazione – la stessa che in italiano ha lasciato la coppia scarabeo vs scarafaggio, che di fatto sono etimologicamente la stessa parola – si spiega perciò nell’ambito di una serie di influssi che vanno dalle varietà italiche (i cui tratti caratteristici, con la diffusione sistematica del latino, spesso finiscono per passare a tratti tipici di varietà rustiche di latino) in direzione delle varietà urbane di latino.
La coppia di parole che citavo (bufulcus vs bubulcus), entrambe presenti in iscrizioni latine e inizialmente avvertite come un problema (intendo dire in un contesto di analisi chiuso e non avvezzo alla comparazione), si spiega pertanto proprio tenendo conto del fatto che il rapporto tra lingue inizialmente distinte benché imparentate (dialetti italici e latino) si è poi ridisegnato come rapporto osmosico tra varietà extraurbane (rustiche, poco eleganti) e varietà urbane, proprio come oggi capita quando, a seconda dei contesti, persino uno stesso parlante passa da forme più controllate e formali ad altre più informali.
Se poi volessimo completare il quadro dovremmo anche inserire i casi in cui b diventa v o i casi in cui ciò non accade a dispetto delle attese (come per lat. bos bovis). Ma non voglio mettere troppa carne al fuoco.
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