“Cose dell’altro Geo” del 21 dicembre 2011 e “Il riposo del guerriero” del 25 dicembre 2011

Parole per l’occasione, a volte d’occasione. E quando ciò accade quelle parole di svuotano del loro significato per acquisire la funzione di meri stereotipi impiegati per riempire uno spazio conversazionale.

Curiosare (anche solo ad un livello poco più che suerficiale) nella semantica di queste parole potrà allora, forse, contribuire a restituire a queste parole uno spessore fatto di accumulazione di frammenti di storia e di cultura troppo spesso ignorato.

Auguri a tutti perciò!

Auguri: parola che rimanda ad antichi riti di interpretazione di segni naturali, in primis del volo degli uccelli. Alla base della forma c’è augur auguris, sostantivo connesso con il verbo augeo (gr. auxano) che significa ‘accrescere’. L’augurium, ovvero quanto proferito dall’augure (che è ‘colui che dà l’accrescimento’, sarebbe perciò ‘l’accrescimento accordato dagli dei ad una azione’ e quindi anche ‘presagio favorevole’.

La parola augurium potrebbe essere ritenuta a prima vista equivalente ad auspicium, ma questo non è del tutto vero. Augurium è infatti più complesso rispetto ad auspicium, che rimanda solo all’idea dell’osservazione, come testimonia la presenza della radice spec-, la stessa di speculum che ha dato in italiano specchio. Anzi, nella parte iniziale di auspicium potrebbe forse intravedersi l’influenza di augurium.

Per quanto riguarda la radice spec occorre ricordare che ricorre anche in lat. haruspex haruspicis, l’aruspice, ovvero ‘colui che interpreta segni naturali quali tuoni, fulmini o anche le interiora delle vittime’.

Haruspícium indicherebbe perciò proprio ‘la pratica degli aruspici’

Brindisi: anticamente anche brindesi, brindiz e brinzi (forma sincopata, perche <z> equivale ad una [s] sonorizzata). La parola trae origine dalla formula tedesca (ich) bring dir’s letteralmente ‘porto questo (bicchiere) alla tua (salute)’. In italiano la formula si diffonde nel Cinquecento per il tramite di mercenari svizzeri. Nella stessa epoca troviamo in francese brinde per significare ‘la bevuta in onore di qualcuno’ e in spagnolo brindis, che ha fatto da base per il verbo brindare, penetrato in italiano solo in epoca moderna (il grande lessicografo Panzini diceva che il verbo non piaceva ai puristi)

E prima? L’idea del bere è presente già nella cultura classica, basti pensare al nunc est bibendum ‘è tempo di bere’; perciò non è la pratica bensì la parola ad essere abbastanza recente (del resto in latino abbiamo bibulus ‘che beve volentieri’ e bibosus ‘avido di bere, ubriacone’).

In latino sono attestate due forme interessanti: bibere ad numerum e bibere ad nomen alicuius, letteralmente ‘bere al numero’ e ‘bere al nome di qualcuno’, che rimandavano alla pratica di fare un numero di bevute pari al numero di lettere costitutive nel nome di qualcuno.

Curiosità: nel Galateo (631) l’abitudine del brindisi viene condannata

“Lo invitare a bere, la qual cosa, si come non nostra, noi nominiamo con vocabolo forestiero, cioè FAR BRINDISI, è verbo di sé biasimevole; e nelle nostre contrade non è ancora venuto in uso; si che egli non si dee fare”

Varianti per brindisi  

Alla tua: formula augurale, di buon auspicio, sottintende salute. Nell’aspetto coincide anche con la seconda parte della formula che sta alla base di brindisi.

Cin cin: onomatopeico, dal rumore dei bicchieri che si toccano nell’atto del brindisi

Prosit: formula latina, letteralmente congiuntivo ottativo che sta per ‘che possa giovare (a te)’.