“Il riposo del guerriero” del 1 luglio 2012

La prima cosa che mi è venuta in mente al sentire il titolo della puntata di oggi – un titolo in un certo senso speculare a quello che ho scelto per queste considerazioni – è stata la televisione.

La caduta di pochi altri tabù ha determinato lo stesso domino di cambiamenti conseguito all’introduzione delle Tv commerciali, all’avvento di quella che Umberto Eco nei primi anni Ottanta – in contrapposizione alla prima fase della televisione, quella segnata dal monopolio RAI e da lui definita paleotelevisione – chiamava neoTV, vera e propria riscrittura degli spazi televisivi che ha fatto da apripista a novità quali il programma contenitore, i talk-show, la ristrutturazione radicale del palinsesto (da settimanale a giornaliero, poi a fascia, e ancora dopo, in epoca più recente, addirittura a richiesta), la ristrutturazione degli spazi pubblicitari, il ruolo del tutto nuovo e sempre più interattivo dello spettatore e, non ultimo, lo stravolgimento dei linguaggi, comprendente da ultimo lo sdoganamento di forme che fino a pochi anni fa sarebbero state inaudibili e inaudite. Mi riferisco a quella categoria con termine colto detta dello scomma, categoria che riunisce in sé offese, insulti, parolacce (e in qualche caso persino bestemmie) a volte usate come puro intercalare.

Per contenere al meglio la portata di questo cambiamento partendo da un aggettivo indicante l’aspecificità è stato coniato, fin dai primi anni Novanta (1993-1994), il termine generalista, termine riferito all’attitudine di una rete televisiva ‘a soddisfare le esigenze di un pubblico indifferenziato e a trasmettere, a questo scopo, sia programmi di informazione, sia programmi di intrattenimento, sia programmi di fiction (film, telefilm, telenovelas ecc.); più in generale, detto di rete televisiva o telegiornale che non vuole rivolgersi ad un pubblico selezionato’ (cfr. ALCI Annali del Lessico Contemporaneo Italiano annata 1993-1994).

Centrale nella Tv generalista è stato ed è il ruolo della finzione, fiction con termine più accattivante, strategica carta acchiappamosche che per esigenze di modernità ha più volte cambiato sembianze, prendendo prima la forma dello sceneggiato, poi dei vari generi di serie e dopo ancora, senza che però si debba pensare ad una frattura tra l’uno e l’altro dei tipi che ho nominato, dei serial, diversi dalle serie perché prevedono l’evoluzione delle storie che raccontano anche in senso psicologico, nel caso dei protagonisti.

Nella serialità dei serial, tutt’altro che in secondo piano si collocano telenovele e soap opera, i drammi del sapone, così chiamati in principio perché sponsorizzati da aziende produttrici di saponi e detersivi che si rivolgevano allo spettatore tipico di quei programmi, o a quello che si riteneva esserlo. Dico riteneva perché la presenza di uno sponsor del genere, in seno ad una società – quella dell’America latina di origine e quella italiana a seguito dello sbarco in Italia di quei drammi – dai ruoli rigidamente codificati, farebbe pensare ad un pubblico di fatto femminile e casalingo; un pubblico che sicuramente si è appassionato a quelle storie non però in maniera dissimile da quanto è avvenuto per tutte le classi sociali e per tutte le generazioni. Indistintamente. La forza di questi prodotti è infatti consistita nell’aver amalgamato il plot narrativo in modo da consentirne letture diverse da parte di ciascuna tipologia di spettatori, sollecitati ad una adesione mimetica che nel caso, ad esempio, di Ven Conmigo ha indotto alla alfabetizzazione un milione di persone per effetto dell’identificazione con le vicende dei protagonisti contadini, riscattati dall’accesso alle lettere.

Cambiati tempi e luoghi, nelle telenovele (non sto qui a fare la differenza con le soap, perché ai fini di quanto intendo asserire le differenze tra i due tipi di serialità non hanno un peso significativo) si viene così a rigenerare quella forza paideutica propria del teatro classico, una forza di cui i tragediografi greci erano consci e della quale magari sono esperti anche gli stessi autori moderni.

Mentre queste considerazioni prendevano forma nella mia mente, il riferimento allo scomma, cui avevo intenzione di dedicare la seconda parte di questo intervento, ha iniziato però ad acquisire sembianze diverse. Sembianze materiali, per una volta, e non linguistiche. E quelle sembianze avevano la forma di striscioni da stadio.

In maniera perfettamente speculare, nel senso di antitetica, a quanto preconizzato dal titolo della puntata del Guerriero, il Decreto Legge 8.2.2007 o Decreto Amato – successivamente ricompreso in una legge dal raggio di azione più esteso, la legge Maroni – instaurava un regime di interdizione espressiva laddove, fino a quel momento, aveva regnato incontrastata la creatività. Una creatività spesso chiassosa, a volte tendente al volgare, ma comunque pur sempre frutto di rielaborazioni anche linguistiche in grado di lasciare il segno nel lettore.

Pur essendo senz’altro eccessivo parlare di rivoluzione prima e di rivoluzione in negativo poi, il cambiamento imposto a questa forma di “comunicazione esterna” delle tifoserie (organizzate e non) dalla cervellotica trafila burocratica resa obbligatoria dalla normativa del 2007 ha sicuramente prodotto una perdita e un appiattimento nelle scritture esposte sugli spalti. Una perdita che risulterebbe senz’altro accettabile se si fosse ravvisata una diminuzione degli atti di intemperanza negli stadi italiani, ma che, in assenza di questo contraltare, rende struggente il ricordo di invettive quali Ti odio così tanto che ti ho cancellato anche dal fantacalcio.

Ricordando alcuni di quei testi, dei quali non starò a dare informazioni di contorno se non necessarie alla comprensione degli stessi, mi avvierò, non senza nostalgia, alla conclusione di questo post che, come ho detto, ha finito per capovolgersi rispetto alle aspettative.

Prima non tiravi Punto / Poi hai preso il Ritmo / ne hai tirati una Marea (in occasione di un Fiorentina-Juventus)

Juventini siete brutti come la Multipla (ancora dai Viola e ancora all’indirizzo dei Gobbi juventini)

Anch’io uso lo shampoo di Conte (scritto su un cartello tenuto alzato da un tifoso abbigliato di parrucca dai capelli particolarmente lunghi e copiosi)

Manco su facebook ve do l’amicizia (su uno striscione romanista indirizzato ai concittadini di “fede” laziale)

Mai alla Juve… a buciardo (sempre dalla curva Sud romanista, stavolta indirizzato a Fabio Capello)

Giulietta è ‘na zoccola e Romeo cornuto (esposto dai tifosi del Napoli per rispondere alle provocazioni e alle offese dei tifosi veronesi e divenuto famosissimo per aver dato il titolo ad una raccolta di striscioni curata da Cristiano Militello)

Cervone re dei cervi (come il precedente prodotto dai tifosi partenopei, in questo caso per il portiere avversario)

Dida il collezionista di farfalle (ancora un portiere bersaglio dello striscione, stavolta del Milan)

Juve 94-98: Belle EPOque (in riferimento alla somministrazione dell’EPO, unsa sostanza dopante, da parte dello staff medico ai calciatori juventini)

CEPU rimborsa Del Piero (come il precedente, confezionato da tifosi interisti antijuventini)

Chiuderei con una cinquina che per varie ragioni ritengo geniale. L’ordine è casuale e non corrisponde ad una classifica di gradimento.

Semo tutti parrucchieri, esposto nel settore ospitante gli 8.000 romanisti al seguito della loro squadra in una trasferta giocata di lunedì

Voi comaschi noi co…le femmine (dai tifosi della Fiorentina per quelli del Como)

Moggi, non era meglio un pizzino? (Tanto bello e perspicuo da non necessitare di commento alcuno, a meno di non essere all’oscuro delle vicende “scrittorie” del boss Provenzano)

Del Piero sposami che poi al tuo uccello ci penso io (poco radiofonico, ma esempio perfetto di trasversalità dei linguaggi, giacché può essere compreso solo da chi abbia a mente il tormentone pubblicitario con protagonisti Del Piero e un uccellino parlante)

E, per finire, dagli States

Souvenir 150 $, Tickets 250 $, Hotel + Beer 500 $, Wives at home.. priceless.

Priceless. È proprio quello che avevo in mente pensando a quanto non mi piacciono gli striscioni che si leggono ora allo stadio.