“Il riposo del guerriero” del 5 e del 12 agosto 2012
Ho deciso di dedicare questa prima puntata estiva proprio all’estate, concentrandomi in prima battuta proprio sulla parola estate e sulla famiglia di termini che da essa si sono formati. Se poi ci fosse ancora tempo passerò a considerare i tormentoni dell’estate, ovvero quelle parole che, anno dopo anno, segnano l’incipienza delle vacanze di molta parte degli italiani in modo sembrerebbe inevitabile. Non manca anno in cui telegiornali e giornali infarciscono i propri servizi di informazioni scontate quasi quanto o anzi quanto l’influenza o il generale inverno di inverno.
Mi riferisco, cioè, a quella sorta di parole chiave (e non parole chiavi al plurale, come capita a volte di leggere), che con la loro ripetitività – ripetitività che le ha di fatto private di significato, per quanto sono logore – sono diventate esse stesse parte integrante dell’estate.
Mi riferisco insomma a termini quali: tormentone (dell’estate), esodo e controesodo, canicola e solleone, termometro alle stelle e asfalto che bolle, refrigerio (ma attenzione, che la bibita non sia troppo fredda altrimenti si rischia una congestione) e tintarella (ma attenti ai nei e alla pelle), partenza programmata e vacanzieri della domenica.
Ma come ho detto, in questa prima puntata mi concentrerò sull’estate eventualmente rimandando a domenica prossima le considerazioni su alcune delle espressioni che ho or ora citato.
Con estate si indica quel periodo che nell’emisfero boreale* è compreso tra il 21 giugno e il 23 settembre, ovvero tra il solstizio d’estate (termine che in italiano è attestato grosso modo dal Trecento e che letteralmente rimanda alla permanenza – –stizio è una forma del verbo stare – del sole, che sembra arrestare il proprio movimento sopra l’equatore e quindi restare fermo) e l’equinozio di autunno, da un prefisso collegato a equus ‘uguale’ e nox ‘notte’, per indicare l’uguale durata del giorno e della notte.
Sperando di non aver preso un equinozio ‘aver equivocato’ passo a snocciolare alcune curiosità, a cominciare dall’etimo prossimo, che vuole estate essere la prosecuzione del lat. aestas, aestatis, corradicale di aestus che significa ‘caldo, calore’.
La parola è quindi descrittiva poiché denomina la stagione (parola “doppione” di stazione, da stare) traendo spunto dall’elemento che più la caratterizza, il caldo per l’appunto (vedremo più avanti che la medesima cosa accade per la stagione opposta, l’inverno).
Oltre che per indicare la stagione, estate può ricorrere in luogo di anno per indicare l’età di cuccioli di animale o di uomo.
Si tratta di una pratica di computo dell’età ereditata dal mondo classico, in cui si faceva però di preferenza riferimento agli inverni trascorsi dalla nascita, probabilmente per le maggiori difficioltà connesse al loro superamento. Si usava infatti bimus per chi aveva superato due anni, essendo hiems la parola per ‘inverno’, trimus per i tre anni, quadrimus per i quattro.
‘Inverno’ era appunto hiems, parola arcaica a cui, in vista di un mantenimento nel tempo, non ha giovato la forma fonetica (poco “evidente” uditivamente e doppiamente complessa, per via della successione –ie-, che nel parlato era pronunciata probabilmente come dittongo [je], e del nesso –ms, di difficile pronuncia). Per quanto riguarda l’origine, l’ambito di formazione, secondo il grande linguista latinista Ernout-Meillet, il termine si sarebbe originato in ambito nautico.
Dove è finito? È stato soppiantato non solo in italiano dal termine che ha fatto da base a inverno, l’aggettivo (usato anche sostantivato) hibernum, sottinteso tempus, parola anche questa molto antica che significava ‘invernale (tempo)’, la cui maggiore evidenza fonetica ha vinto la concorrenza di hiems. Entrambi, sia hiems che hibernus, sono collegati, risalendo più indietro nel tempo, ad una radice che ritroviamo anche in greco come xi– nella parola per ‘neve’ (chiòn).
Messa da parte la questione etimologica, passo a considerare la famiglia di estate, ben più ricca di quanto si potrebbe pensare guardando alla lingua dell’uso.
Tra le parole che si sono formate da estate abbiamo:
Estatare per indicare il ‘trascorrere l’estate in un luogo diverso da quello abituale e, in agricoltura, l’intervallo di tempo tra un’aratura e l’altra’; estatata ‘il periodo della stagione estiva’ (formato sul modello di mattinata, serata, in cui –ata indica una quantità di tempo approssimativa, non esattamente quantificabile) e estatatura per indicare ‘l’estatare, ovvero passar l’estate’, che, insieme ai precedenti, costituisce una voce di origine toscana.
La lingua però, come si sa, consente ai parlanti di dare forme diverse alla loro cratività: ed è così che accanto a estatare si mpiega anche estivare, come medesimo significato, dal cui participio si forma estivante, usato sia come sostantivo sia come aggettivo, è impiegato soprattutto (in zoologia), con riferimento agli uccelli migratori, per indicare ‘chi/che trascorre l’estate in un certo luogo, o, nel senso specialistico della zoologia, gli organismi che sono in stato di estivazione’.
Se volessimo mantenere il parallelismo con l’inverno, come abbiamo fatto per l’etimologa, dovremmo rilevare che, in maniera del tutto analoga, su inverno sono stati formati invernare, svernare, invernata, svernata e così via.
Non lo farò, perché voglio aggiungere qualche altro anello alla catena di estate.
Ai termini che ho già menzionato vado ad aggiungere
Estatina, che indica ‘brevi giornate invernali di mite temperatura’
Estate di S. Martino ‘breve periodo di belle giornate nell’Europa occidentale (il periodo si aggira intorno all’11 novembre, giorno appunto di s. Martino)’
e, per concludere, il proverbio mutar parte dall’estate all’inverno per indicare ‘chi cambia idea con facilità’, cosa che non ho fatto io visto che ho perseverato per ben due domeniche nello snocciolare i termini dell’estate.
16 agosto 2012 at 07:37
In viaggio dall’ Italia alla Germania dopo una breve vacanza sulla Riviera Ligure ho ascoltato per la prima volta nella mia vita la Sua trasmissione radiofonica.
Un viaggio linguistico molto suggestivo testimone della ricchezza inesauribile della nostra lingua e raccontato con sapienza.
Affascinante escursione !
Saluti, Claudio Cascoschi
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17 agosto 2012 at 17:02
La ringrazio davvero molto per quello che mi ha scritto: l’apprezzamento di persone come lei, estranee al mondo dei linguisti di professione, dà senso – lo dico senza retorica – al lavoro che faccio.
E per questa ragione sono molto grata a Stefano Gallarini per avermi consentito di condividere certe riflessioni con il pubblico di una radio di qualità, quale ritengo essere Radio 24, senza mai un’ombra di censura o di preventiva valutazione dell’opportunità di affrontare certi contenuti.
Grazie ancora e, mi permetto di dirlo amichevolmente, non smetta mai di farsi incuriosire dalla cosa più bella che possediamo
A risentirci presto
Francesca D.
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