“Cose dell’altro Geo” del 27 novembre 2012
La domanda di oggi ha a che fare con la grammatica, anzi con la Grammatica, quella che tanto incute terrore a chi ha consapevolezza della lingua e del suo funzionamento.
Quando si parla di grammatica si sottintende il riferimento ad una serie di indicazioni che solitamente si riassumono in “Si deve” e in “Non si deve”, “Si dice” o “Non si dice”.
Chi si fa forte della grammatica normativa, la grammatica fatta dei precetti, dei doveri linguistici, fornisce senza esitazione la propria risposta e il dubbioso o anche solo il curioso “intasca” la risposta lasciando però sospese tante domande.
Prima tra tutte: ma perché così e non in un altro modo?
Perché fate e non facete?
Perché dita e non diti?
Insomma, ci sono ragioni per cui DEVE essere così e non può invece essere diversamente, essere come ci verrebbe naturale dire?
Il linguista è la persona giusta per rispondere a queste domande. Pur dovendo essere colui che indica quale è la norma, il linguista infatti descrive lo stato delle cose e, soprattutto, cerca le ragioni per cui si è creata quella norma non rinunciando a spiegare però le possibili alternative.
Anche quando non sembra esserci una ragione, dietro a ogni fatto di lingua si cela spesso una ragione in grado di spiegare perché una parola abbia una certa forma o un certo significato.
Ecco alcuni esempi, dalla lista tanto folta dei casi dubbiosi o difficoltosi che affliggono la comunicazione quotidiana.
Questa è l’immagine di un pneumatico o di uno pneumatico?
E se fossero due?
Ha ragione quella pubblicità che dice gli pneumatici o l’altra in cui si sentiva i pneumatici?
E perché si dice gli pneumatici come gli psicologi?
Cosa accomuna le due forme?
E perché entrambe prendono lo/gli?
Che origine hanno queste parole? Ce ne sono altre simili?
“È corretto dire e scrivere lo pneumatico e gli pneumatici (e, con l’articolo indeterminativo, uno pneumatico e degli pneumatici) ma va avvertito che siamo in presenza di una situazione in cui la regola grammaticale si vede contesi primato e autorità dall’uso vivo. L’uso, infatti, nel caso di pneumatico –ci propende nettamente per la coppia di articoli determinativi il/i e indeterminativi un/dei. La preferenza per tali coppie è in espansione nel corso degli ultimi decenni. Scorrendo l’annata 1995 del «Corriere della Sera», le forme corrette lo/uno pneumatico risultano sì attestate, ma in netta minoranza rispetto a il/un pneumatico (5 esempi contro 36). Non è facile prevedere una “rimonta” della norma grammaticale, in questo caso.
Ricordiamo che, davanti ai nessi consonantici complessi (dal diffusissimo st– di stato al rarissimo ft– di ftalato, passando attraverso gli iniziali z, s palatale [sci– e sc(e)], n palatale [gn-], x-, pn-, ps-, pt-, ct-, mn-), la norma prescrive l’uso di lo/gli e di uno/degli. Converrà non stupirsi per l’oscillazione in atto nel caso di pneumatico: davanti a s complicata e a z-, ancora in testi letterari del Novecento (Cesare Pavese: «i scivoloni»; Matilde Serao: «un zittìo») si trovano casi di mancata stabilizzazione della regola, con il riemergere di il/i, coppia spesso usata in vece di lo/gli nell’Ottocento. E, in usi popolari ben diffusi, è ben noto a molti parlanti d’oggi l’uso di il/i davanti a gnocco/gnocchi” (Treccani.it)
Ma che si tratti di un nesso da sempre sentito come complicato, lo dimostra la sorte di psalmos, parola greca alla base di salmo che, se non avesse subito la semplificazione il nesso iniziale, avrebbe avuto come esito lo psalmo/gli psalmi o, ipotizzando una oscillazione analoga a quella di pneumatico, il psalmo/i psalmi.
Passiamo al caso dei plurali sovrabbondanti.
Dita o diti? Bracci o braccia?
E perché?
E perché un plurale con la –a?
C’è una relazione tra questo plurale e quello di uovo che fa uova e che ha anch’esso la –a?
E se dico uovi? Perché mi capiscono ma mi dicono che sbaglio?
Qui non entrerò nel dettaglio della spiegazione, ma mi limiterò a constatare come l’alternanza abbia trovato una propria convivenza stabile all’interno del sistema linguistico, come nel caso di bracci per gli inanimati e braccia per gli animati.
Passiamo al caso di un professionista estremamente noto, anzi… celebrissimo?
Perché celeberrimo? Ma i superlativi non si fanno in -issimo?
In quale altro modo si può formare il superlativo di un aggettivo? Perché non diciamo (almeno stando alle Grammatiche) bello bello invece di bellissimo? Prolungare la vocale tonica di un aggettivo non lo rende ugualmente superlativo?
Le ragioni di celerrimo affondano nella storia del latino e ha a che vedere con l’assimilazione (da -s- a -r-) della consonante iniziale del suffisso (-simos) a quella finale della base (celer-). L’italiano ha perciò ereditato una forma che già in latino appariva anomala ai parlanti.
Ma che la realtà sia più variopinta di quanto la monoliticità della grammatica normativa lasci immaginare si comprende anche dalla licenza autoconcessasi dalla pubblicità, che per prima ha sdoganato il superlativo anche per i sostantivi.
A “complicare” ancora di più l’espressione dell’elatività si aggiungono inoltre casi di significati superlativi di parole che superlativi non sono e che rivelano la propria superlativa essenza solo quando si proceda all’indagine etimologica. Una tra tutte la parola egregio, che, pur avendo a che fare in principio con le pecore, ha la valenza di un superlativo perché marca chi si distingue dal resto del gregge.
Per attinenza con la domanda del gioco (Chi della canzone A chi?: è un pronome o una preposizione?) chiuderò con un riferimento al pronome, una delle parti del discorso.
Nove erano le parti del discorso generalmente individuate nella teoria grammaticale antica, di fatto continuata fino all’epoca moderna (nome, verbo, aggettivo, pronome, avverbio, articolo, interiezione, congiunzione, preposizione); intorno a questo numero si discute, sono state proposte altre classificazioni, adatte ad un numero sempre crescente di lingue, ma quel che conta è sottolineare che nel gioco della lingua i diversi pezzi hanno funzione diversa, contribuiscono al complesso del gioco in modo diverso.
Nello specifico di chi, si tratta di un pronome interrogativo; altri tipi di pronome sono quelli: personali, relativi, possessivi, dimostrativi, interrogativi.
Interrogativi a cui risponderò in altre occasioni.
28 novembre 2012 at 09:42
un giorno rimproverai mia figlia per avere scritto “Inghilterra” invece di “Ingliterra” come io ero certo si dicesse.
Ero in compagnia di amici, tutti stupiti di questa mia eretica convinzione nonostante la mia cultura universitaria.
Io non mi davo per vinto e dopo loro insistenze, capitolai davanti al correttore automatico supportato dal vocabolario on line.
Non mi capacitavo di questa mia radicata convinzione, avendo io continuamente nel corso dei mie 65 anni di esistenza, utilizzato tale nome con il “gli” … adducevo a mia discolpa, che le mie orecchie, quando qualcuno lo proferiva, lo sentivano esattamente con la “elle” e non con la “hacca” .
Successivamente a seguito di questo svarione, ogni qual volta un giornalista lo riferiva, prestando più attenzione, sempre lo avvertivo pronunciato con il “gli”. Lo facevo notare soprattutto a mia moglie Anna, che si era presa gioco di me più volte, ma lei asseriva di sentirlo come da sua convinzione. con il “ghi”.
Non pago, ragionando con i miei interlocutori oramai superstressati dalla mia insistenza, dicevo loro anche in parte per riabilitarmi …”come mai la nazione nella sua lingua originale è appellata “ENGLAND” con il “GL” e da noi si dice “INGLESE” anche qui con il “GL” e voi dite che io sono nel torto ad esprimermi in tal guisa? …
Francesca attendo conforto e lumi…grazie
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7 dicembre 2012 at 22:15
Buonasera Fulvio.
Mi scusi innanzi tutto del ritardo con cui la leggo e le rispondo, ritardo a cui cercherò di porre rimedio ora.
Il caso che fa lei incarna perfettamente la questione delle varianti di cui trabocca la nostra lingua.
Ingliterra appare sen’altro essere la forma originaria, rifatta sul modello di England ‘terra degli Angli’ pronunciata, come il glottonimo english, con I- iniziale.
Per ragioni di cui non sono certa, ma che ritengo probabile essere dovute a fatti di fonetica e, guardando alla parola scritta, forse anche alla volontà di evitare la pronuncia palatale di gli (Ingliterra con gli letto come l’articolo) è possible che si sia verificata una inversione che ha fatto perdere l’aderenza all’originale (mantenuto, invece, altrove: penso al francese anglais, Angleterre).
Guardando all’italiano oggi, Ingliterra (su Angli), così come, sul versante opposto, inghilese (su Inghilterra) per inglese, costituiscono delle forme usate, stando alla bibliografia, per lo più in area toscana.
Quanto all’etimo, come senz’altro già sa, Inghilterra rinvia agli Angli, una delle tribù/stirpi germaniche che colonizzarono la Britannia.
Perciò non la metterei sul piano di giusto/sbagliato in assoluto, perché Inghilterra, oggi forma di riferimento, in passato deve sicuramente aver costituito una variante di Ingliterra (forma trasparente).
Certo, al parlante che si interroga sulla forma di riferimento nell’italiano dell’uso contemporaneo si deve per forza concedere che sia Inghilterra, ma ciò non significa che il sistema non comprenda e metta a disposizione del parlante varianti che sono sopravvissute al tempo e alla tendenza livellatrice che il parlante esercita per mezzo dell’analogia.
Last but not least, per dirla in quella lingua, lei non è certo il solo ad usare Ingliterra, cosa che conferma l’esistenza di una variante senz’altro meno diffusa, ma attestata anche nell’italiano veicolato da internet.
Spero di esserle stata almeno un po’ di conforto
A presto
Francesca
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