“Il riposo del guerriero” del 24 marzo 2013

È difficile pensare al nuovo che avanza nella lingua senza avere in mente il neologismo, la parola nuova che a un certo punto inizia a staccarsi dalla massa più o meno inerte del pensiero e a plasmarsi per meglio adattarsi alle esigenze di chi la sta concependo.

Del tutto nuovo o nuovo solo in parte, cosa che capita quando, ad esempio, si aggiunge un significato ad una parola esistente, il neologismo da altri prima di me è stato definito il respiro vitale della lingua.

Un respiro sì vitale, perché indubbio è il suo vantaggio – consente l’esistenza al nuovo o a ciò che appare nuovo – ma certo non senza un costo per il sistema linguistico. Come spesso si sente dire nella vita di tutti i giorni, tutto ha un costo, e a questa legge non si sottrae di certo la lingua.

Fatto il neologismo si può infatti valutarne funzione ed estensione rispetto a quanto già c’era: a quel punto è facile accorgersi che il nuovo ha tolto spazio al vecchio, un vecchio magari consolidato e caro a molti che tenteranno di opporsi al nuovo; oppure anche che, dopo una lotta di varia entità, vecchio e nuovo iniziano una spesso lunga storia di convivenza, destinata, proprio come nella vita di tutti i giorni, ora alla felicità, più o meno costante, ora alla separazione, ora più ora meno dolorosa.

Ciò che voglio fare oggi è parlare del nuovo, di parole nuove o connesse col nuovo, scelte sulla base di criteri che via via espliciterò.

Inizierò con nove, il numerale cardinale, perché in assoluto rappresentante di una forma di nuovo. Le parole latine novem ‘nove’ e novum ‘nuovo’ appaiono infatti più che somiglianti, addirittura quasi gemelle, ragione che ha portato chi occupa di numerali nelle lingue antiche, penso a Domenico Silvestri che annovero tra i miei maestri, tra coloro che di più hanno inciso nella mia formazione di studiosa, a ritenere che l’uso di nuovo per indicare nove si potesse facilmente spiegare con l’esigenza di segnalare l’inizio di una nuova serie. I sistemi numerali si sono sviluppati progressivamente, la nostra specie ha acquisito lentamente e con fatica la capacità di contare servendosi di sistemi di simboli, e immaginare di indicare una certa quantità con nove costringe di fatto a dare per buono un gradino in cui la numerazione si era spinta fino a otto. Una soglia che, oltrepassata, necessitava l’inizio di una nuova serie. Il fatto che nella forma antichissima per otto comparisse una vocale finale lunga, indice di un procedimento consistente nel prendere le cose a due a due, ha portato a interpretate otto come due volte quattro e conseguentemente a immaginare uno step in corrispondenza del quattro precedente a quello fissatosi in corrispondenza di otto. Come è possibile tutto ciò? E come provare a immaginare questa espansione?

Si può fare una prova. Per tenere traccia di una quantità una delle soluzioni più vantaggiosa è la mano. In un mondo che non ha grandi esigenze (e che comunque si industrierà anche per le grandi esigenze), una mano consente di tenere traccia di una quantità relativa ma non indifferente. Usando il pollice come contatore e le altre dita come tracce concrete delle cose da contare, mi troverò a organizzare le quantità a quattro a quattro. E in questo modo potremmo capire la ragione di otto come due volte quattro (un quattro per ogni mano) e di nove come qualcosa di diverso, di nuovo per necessità, perché non avremo a disposizione una terza mano per tenerne traccia (è in questo modo che si sarebbe venuta a costituire la base quattro che ritroviamo in molti sistemi di numerazione). Sempre utilizzando la medesima mano ma rinunciando al pollice contatore, avremmo a disposizione cinque dita o, considerando le due mani, dieci: procedimento, questo, che sarebbe divenuto costitutivo del sistema decimale. Ma c’è ancora un’altra possibilità. Utilizzando ancora il pollice contatore e le altre quattro dita non nel loro insieme, bensì nella loro porzionabilità in parti più piccole, le falangi, la stessa mano mi metterebbe a disposizione ben dodici possibilità di quantificazione: una soglia oltre la quale si apre una serie nuova, diversa, in molte culture oggetto di superstizione. Il nuovo che porta sfortuna: il tredici. Naturalmente nulla ha impedito che si potessero usare entrambe le mani e la conseguenza di ciò è stata una base ventiquattro, poco usata ma usata, così come, tornando al caso precedente del dieci, una base venti necessaria a spiegare in una lingua come il francese numerali come quatre-vingt ‘quattro volte venti (ottanta)’ o quatre-vingt-dix ‘quattro volte venti dieci (novanta)’.

Insomma, il nuovo nella lingua si nasconde ovunque, soprattutto dove meno ce lo potremmo aspettare, come nel caso delle parole per i numeri.

L’esempio del nove ora considerato costituisce però un caso privilegiato. Si tratta infatti di una forma prima della quale non immaginiamo cosa ci fosse, una forma che per convenzione e in assenza di nuove scoperte potremmo ritenere originaria.

Questa condizione non è la normalità una volta che le lingue si sono consolidate.

Ne consegue che il nuovo trova, alla sua comparsa, un vecchio con cui relazionarsi. Capita allora anche che il nuovo costituisca un doppione di una parola “vecchia”, talvolta modificatasi nel corso della vita già vissuta, e che, non rendendosene conto, il parlante le usi entrambe. A volte chiedendosi che rapporto ci sia tra le due (come per rauca e roca, o per grotta e cripta), a volte non percependolo neppure (come in cosa e causa, in vezzo e vizio, in solaio e solarium, in platea e piazza, nella terna spigolo, spicchio e speculum).

Adattando a questi casi un termine della chimica si parla allora di allotropi, stessa parola di partenza ma due esiti differenziati (si parte da soli e si finisce in coppia), spesso perché uno è arrivato per via orale e l’altro per via scritta.

Diverso è il caso di bottega, boutique e il termine tedesco apotheke ‘farmacia’. Anche qui la parola di partenza è stata una sola, apotheke ‘luogo in cui si depositano materiali’.

Rispetto a questo nucleo di partenza si sono avuti bottega (anche nella forma meridionale putia), forma modificata per via orale, che è rimasta abbastanza fedele al significato originario; boutique, che la nostra lingua ha ripreso dal francese e che, sentendola come più chic e più nuova di bottega, ha infatti polarizzato con il significato di ‘bottega di lusso’; apotheke per l’appunto ‘farmacia’ in tedesco, olandese e altre lingue.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare così da lasciare intravedere un rapporto tra vecchio e nuovo intricato e intrigante. Ma non avendo tempo di farlo, mi accommiaterò… in quattro e quattr’otto.