“Il riposo del guerriero” del 12 maggio 2013

Aggettivo che accompagna in principio macchina, automobile – da autos ‘se stesso’ e mobile ‘che può muoversi’ – è impiegato sia al maschile che al femminile, adattandosi l’aggettivo al genere del nome accompagnato.

Da un veicolo o carro sottinteso si è così avuto lo automobile, forma di gran lunga prevalente a cavallo tra XIX e XX secolo, da vettura o macchina automobile, al femminile (decisivo l’apporto di D’annunzio alla questione in una lettera a uno degli Agnelli negli anni Venti).

Il femminile si è così imposto come genere di riferimento per l’aggettivo sostantivato e per la sua forma abbreviata, auto. Con una significativa eccezione: per parlare di auto di lusso o esclusive capita più spesso, soprattutto da parte degli appassionati, di sentire usato il maschile (un Ferrari o un Ferrarino, il Porsche e recentemente, in una pubblicità di Mercedes, in cui si parla di nuovo seguito dal nome dell’auto).

Nel repertorio linguistico italiano automobile e auto alternano con macchina ma anche con autovettura, vettura, veicolo e, cambiando registro e grado di formalità, con macinino, cassapanca, carretta e forme sempre più improntate alla creatività del singolo.

Il termine è lemmatizzato e definito nel Dizionario moderno di Alfredo Panzini, un dizionario che si propone come regesto di forme che non si trovano negli altri dizionari (perciò per lo più vicine all’uso).

Di automobile si dice «in ordine aggettivo, poi sostantivo, per indicare la nota vettura a motore, spavento dei viandanti, documento di ricchezza; elegante, potente, rapidissima, e sempre più progredita. Di qual genere è l’automobile? Se ne è disputato in Francia, madre dell’automobilismo, quindi anche in Italia. Ieri prevaleva il maschile, oggi il femminile. Se così non piace, si può fare come si vuole».

Leader nella progettazione e realizzazione di auto, alla fine del XIX secolo la Francia si impone come modello anche linguistico per l’automobile.

Innumerevoli i prestiti dal francese che si riferiscono all’auto o alle sue parti, alcuni dei quali radicatisi profondamente nel lessico comune.

Ne considererò tre: garage, chauffeur e panne, dal quale inizierò citandone la definizione anche in questo caso datane da Panzini.

«Panne dal linguaggio degli automobilisti dicesi, per il solito mal vezzo, alla francese, panne, intendendo le fermate involontarie, per guasti. E non si può dire panna?».

C’è chi lo ha fatto, ragione per cui questa accezione è riportata anche in corrispondenza della voce panna.

Quanto a garage, si tratta di un derivato da garer ‘mettere al riparo’, la stessa radice di gare ‘stazione’ (ma la radice è a sua volta probabile ripresa di un modello tedesco), concorrente di autorimessa.

Chauffeur (al femminile chauffeuse), letteralmente ‘lo scaldatore’ e quindi ‘il fuochista’ e poi il ‘conducente di automobili’, probabilmente da una metafora immaginifica legata alla necessità di dover accendere i becchi, i famosi bruleurs, necessari a mettere in azione l’automobile e che andavano accesi una decina di minuti prima di azionare il motore.

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Per approfondire

Elena Fornero, Gli automobili. Lessico delle prime quattro-ruote tra Ottocento e Novecento, Marsilio, 1999.

Il saggio si basa sui manuali più diffusi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.

Non posso esimermi dal riproporre una descrizione, quella di Carlo Biscaretti – disegnatore tecnico e pubblicitario, fondatore del Museo dell’automobile di Torino – riferita alla messa in moto della Benz paterna.

“Si apriva l’usciolo, si afferrava con mano robusta il volante motore e si dava uno… due… tre … infiniti strapponi all’indietro… (Se non succedeva niente voleva dire che) non s’era aperto il rubinetto della benzina o il serbatoio era vuoto, oppure mancava il contatto elettrico, oppure gli accumulateurs erano scarichi […] La piccola macchinetta che abbiamo avuto in famiglia dopo la Benz aveva l’incamminamento costituito da una manovella lunga almeno 80 centimetri che si infilava nel motore disposto sull’albero posteriore passando attraverso i raggi della ruota destra […] Quando poi l’accensione si compiva per mezzo dei famigerati bruleurs, allora occorreva avere a disposizione una diecina di minuti prima che il motore potesse mettersi in moto. […] Prima dell’applicazione dell’accensione elettrica, si adoperavano certi tubetti di platino i quali per mezzo di apposita fiamma a benzina erano portati all’incandescenza. Quando il tubetto era passato per tutte le gradazioni del colore fino a raggiungere il colore bianco, allora il miscuglio gassoso al suo contatto si accendeva. Il sistema era ottimo e sicuro ma pericoloso per i contraccolpi frequentissimi durante il lancio del motore. Naturalmente quando la macchina stazionava in strada era necessario lasciare accesi i due o quattro giffards (uno per cilindro) per poter rimettere subito in movimento il motore”.