“Cose dell’altro Geo” del 23 novembre 2011

La panchina del 23 novembre ha ospitato insieme a me il protagonista di Scialla!, il film recentemente uscito nelle sale italiane.
La chiacchierata con Massimiliano (Ossini) non poteva perciò non riguardare gli elementi caratterizzanti del film, incentrato su un tipo di plot classico, perché tipico già della commedia classica, che prevede che il riconoscimento dei reali legami tra i personaggi  (l’agnizione) avvenga solo in corso di svolgimento.
La trama sfrutta, tra le soluzioni possibili per marcare la differenza generazionale tra il padre e il figlio che si riconoscono, quella forse più semplice (ma per un linguista più interessante), ricorrendo per dar voce ai due personaggi chiave a varietà di lingua tra loro doppiamente opposte: si gioca infatti sull’opposizione tra varietà settentrionali e centro-meridionali abbinate, rispettivamente, la prima ad un registro formale, la seconda invece – parlata dal figlio Luca – ad uno informale, una sorta di vero e proprio sottocodice che si connota per la presenza di elementi che tendono alla gergalità.
Tra questi campeggia quello che dà titolo al film:
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1) scialla: il significato prevalente oggi è quello di ‘sereno, tranquillo, informale (se riferito al modo di vestirsi o ad un incontro); ma anche di poco impegnativo (se riferito, ad esempio, ad una lezione); il termine circola da almeno 15 anni; il nucleo di irradiazione è probabilmente costituito dallo stile hip-pop dei testi degli Articolo 31 di metà degli anni ’90: la canzone TranQui Funky contenuta nell’album “Così Com’è” del 1996 costituisce il primo esempio famoso di uso di scialla.
Il fatto che il termine fosse inserito in una sorta di “costellazione” di termini analoghi (tipa, tamarro, etc.) per lo più già noti alla “lingua della strada” dei giovani milanesi ha dato una spinta decisiva alla diffusione del termine al di fuori del milanese e alla sua persistenza nel tempo; l’etimologia è controversa e costituisce ancora oggetto di discussione. Una seconda forte spinta all’uso è senz’altro stata costituita dal massiccio impiego, ma più recente, da parte di una delle giovani ospiti del programma “Uomini e donne”. Il fatto che questa ospite fosse romana ha contribuito ad avvalorare, presso i parlanti, la convinzione di una origine romana per il termine.
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Il Dizionario storico dei linguaggi giovanili di Ambrogio e Casalegno riporta alcune voci strettamente connesse con scialla, non presente nel dizionario.
Si tratta di
  • sciallato, agg. Rilassato, registr. da Dizionario coatto in area milansese: “Sono sciallato alla grande!”
  • scialloso. Divertente; registr. da Linguagiovani da fonte varesina

Per gli autori del dizionario questi derivati sono da ricondurre a

  • scialo (var. sciallo), sm. Divertimento; registr. anche da Badacomeparli e Linguagiovani da fonti lombarde e da Manzoni, Peso.
   Fate come Capsula e Nucleo, gli inventori della filosofia:”Meno sbattimento possibile e sciallo a livelli che te lo spiego io!” (Pali e Dispari, Kumpalibre,
            39)
            3. Locuz. Da scialo (con valore aggett.): di lusso.
            Io dico “Cosa facciamo, ci vediamo in un caffè?” Lui: “In un caffè? Ma come cazzo parli, no, vediamoci in un posto più da scialo” (Campo, Sentita bene,
            58)
Va inoltre segnalata l’attestazione di scialbo con un significato opposto a quello atteso e coincidente con quello di sciallo.
Convergenza semantica che si potrebbe spiegare con la pressoché totale omofonia delle due parole.
  • scialbo, agg. Divertente, figo; registr. da Badacomeparli, da fonte milanese.

Ma a volte i giovani scelgono un linguaggio cifrato, e allora capirli è difficile. Il significato di alcune parole è stato rovesciato: scialbo, pronunciato

trascinando la ‘a’ vuol dire divertente, esaltante. (Cazzullo, Babele junior, 20)

Il capofila della serie – e forse anche dello stessso scialla, sembrerebbe perciò essere

  • scialare (sciallare), intr. con la particella pronom. Divertirsi, spassarsela (anche nell’espressione Scialarsela); registr. anche da Badacomeparli, Dizionario coatto e Linguagiovani da fonti centrosett.

Sai che tranqui significa tranquillo, e su questo funky mi sciallo e non strillo. (Articolo 31, Tranqui Funky, in Così com’è)

Dalla mia panchina sottecchio tutta ‘sta bella umanità, e mi scialo nella possibilità di ponderare. (Romano, Mistandivò, 65)

Io, in questo periodo me la sto sciallando abbastanza perché quel cassonetto differenziato di mia sorella è andata in gita con la classe e mi ha lasciato

tutta la stanza per me. (Pali e Dispari, Kumpalibre, 97)

scialarsela una minima: non fare niente; espressione registr. da Linguagiovani da fonte milanese: “Johnny per un intero semestre se l’è sciallata

una minima.”

L’uso antifrastico di una minima si colloca nel medesimo solco di scialbo per ‘divertente’.

2. Marinare la scuola; registr. da Sdizionario.

Fonte: R. Ambrogio – G. Casalegno, Scrostati gaggio! Dizionario storico dei linguaggi giovanili, Torino, Utet, 2004
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2) bella: forma “ridotta” (per ellissi) di bella per te, saluto diffuso a Roma da circa due decenni che in origine sottintendeva un ulteriore elemento, probabilmente situazione
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3) s’accolla: il significato in origine potrebbe essere stato letterale, ovvero assimilabile a ‘attaccarsi al collo’ e dunque risultare ‘cosa/persona pesante (da trascinarsi dietro, avendola attaccata al collo)’
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4) spacca!: forse è tra tutti quelli segnalati il termine di minore diffusione. O comunque quello dal raggio di azione più ridotto. Il termine spesso è accompagnato da di brutto e ha una valenza di superlativo. E’ una sorta di variante di una figata, (mi piace) da paura, (mi piace) un casino. Non è improbabile che in partenza l’ambito di impiego fosse quello musicale, in cui una musica “che spacca” (gli altoparlanti?) è una musica di alta intensità e di grande coinvolgimento emotivo per gli spettatori
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5) sta a’ abbozza’: forse originariamente dai “bozzi” (‘abbozzature’) delle macchine. Abbozzare significa ‘accusare un colpo perlopiù senza darlo a vedere’. Il termine vanta già diversi decenni di impiego, non costituisce perciò una innovazione recente
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Come ogni volta che si tratta di linguaggio dei giovani, la discussione non poteva non portare alle questioni della povertà dei linguaggi usati soprattutto nei gruppi di adolescenti.Ecco alcune considerazioni suscitate dalla domanda, solo abbozzata,

“Le parole che usiamo possono davvero renderci migliori o peggiori?”

In sé le parole non ci rendono migliori né peggiori; ma a seconda di quelle che conosciamo – e che conseguentemente possiamo usare – diversa è l’immagine che trasmettiamo di noi, la nostra percezione sociale.
Possono inoltre unire o dividere, ma questo dipende anche dall’intenzione con cui sono usate e da quella, di chi le riceve, di volerle capire.
In sé, il fatto che le giovani generazioni sviluppino un proprio gergo per il bisogno di ri-creare una identità passando anche attraverso l’appartenenza ad un gruppo non implica l’assenza di comunicazione con chi è al di fuori del gruppo, soprattutto quando poi quelle parole diventano di alto uso.
Insomma, da una parte bisogna spezzare una lancia a favore dei genitori e di chi spinge ad una normazione il linguaggio dei giovani, di chi li pungola perché acquisiscano delle varietà più “alte” rispetto a quelle che li sentono impiegare (“parla bene!); dall’altra, però, occorrerebbe forse lavorare sugli stessi gerghi e spingere chi li usa alla creazione di nuove forme espressive in grado di poter competere con altre varietà della lingua nella descrizione della realtà.
Il vero problema è la povertà, la sciatteria linguistica, che porta a parlare di tutto con le stesse poche parole. Ma questo problema non coinvolge i soli gerghi.