“IL RIPOSO DEL GUERRIERO” del 3 febbraio 2008

“La citazione di episodi legati alla Perpetua manzoniana nella puntata di martedì 28 (febbraio 2008) di Melog fornisce lo spunto per una riflessione più ampia sul tema della deonomastica.

La deonomastica è quella branca della linguistica che, all’interno di ciascuna lingua, identifica i nomi comuni che hanno avuto origine a partire da nomi propri e che descrive i processi linguistici che sono stati impiegati nel realizzare questo passaggio di categoria.

Prendendo spunto dal romanzo manzoniano (parola che è giustappunto un deonimico) risulterà però nuovo per molti sapere che se non ci fosse stata la riscrittura del Fermo e Lucia oggi non saremmo qui a parlare di perpetue e di azzeccagarbugli, ma probabilmente (ma non sicuramente) parleremmo di vittorie e dei dottor Pettola.

Prima che il Manzoni si ispirasse al canone dei Santi in uso nella Messa e che – con buona probabilità dalla lettura di una lettera al Machiavelli, del quale era grande estimatore e conoscitore – recepisse azzeccagarbugli (“voi sapete che mercatanti vogliono fare le cose loro chiare e non azzeccagarbugli” Legaz. 1301), Vittoria e dottor Pettola erano i nomi prescelti per la governante del curato e per l’avvocato da strapazzo.

Insomma grazie alla suggestione machiavellesca (ancora un deonimico, al quale si possono affiancare machiavellismo e machiavellico, i quali, rispetto al precedente, avente funzione puramente relazionale, sono incentrati sulle caratteristiche che ne hanno consacrato la fama), il Manzoni decide probabilmente di recuperare un nome comune diffuso nel fiorentino parlato, azzeccagarbugli, di significato identico a quello attuale, e di farne un nome proprio per uno dei suoi più noti personaggi.

Il viaggio di Azzeccagarbugli tra minuscole e maiuscole nel corso della storia linguistica italiana appare perciò ben più articolato di quanto si potesse a prima vista ritenere.

Ancora i Promessi sposi sono alla base della creazione di parole, costrutti e locuzioni deonimiche quali:

  • Carneade! Chi era costui?: per alludere a personaggi sconosciuti o poco noti, dalla celebre frase bofonchiata da Don Abbondio.
  • Don Abbondio che a sua volta è servito da base per donabbondismo, effetto-don Abbondio e sindrome di don Abbondio, quella di cui soffrirebbero, secondo Roberto Randaccio – che ha coniato questa formula nell’ambito di un contributo per uno “Speciale” (curato da Silverio Novelli) sulla deonomastica disponibile su www.treccani.it il link si apre in una nuova finestra – ‘tutti coloro che si mettono a ruminare sopra un termine deonimico’, (come chi scrive).
  • Adelante Pedro!: impiegata come esortazione a muoversi o a proseguire un’attività interrotta
  • Fare come i capponi di Renzo: per chi riesce a risultare litigioso anche in condizioni di estremo disagio.

Ovviamente deonimici sono poi: manzoniano e manzonianamente, per riferirsi al Manzoni, e manzonismo che rinvia invece non all’autore ma a chi si ispiri al suo stile.

Il confronto tra queste ultime forme citate ci consente di introdurre il tema della classificazione dei deonimici, che si presentano assai diversi nella forma a seconda del processo impiegato nella loro creazione.

Abbiamo infatti:

  • deonimici ottenuti per antonomasia, proprio come la perpetua o l’azzeccagarbugli, cui si potrebbero aggiungere innumerevoli altre forme di ambito comune o tecnico o letterario sia del presente che del passato.

Provengono dal mondo classico i riferimenti a:

  • Achille: anche nella locuzione tallone d’Achille per alludere al punto debole di qualcuno
  • Arianna: anche nella locuzione filo di Arianna, per alludere alla soluzione, alla via d’uscita da un labirinto, una situazione disperata
  • Bacco: nella locuzione essere devoto o seguace di Bacco, in riferimento ai bevitori di vino
  • Cassandra: in essere una Cassandra, nel senso di profetizzare sventure
  • Cicerone: a partire dal quale sono state però formate due diverse locuzioni deonimiche.
    La prima essere un Cicerone, per riferirsi a qualcuno eloquente alla stregua di Cicerone, indicata con iniziale maiuscola; la seconda, fare il cicerone, molto più tarda, per riferirsi alla ‘guida che accompagna i viaggiatori illustrando loro le caratteristiche di monumenti o opere d’arte’. Slittamento, questo, che è stato reso possibile da un filo rosso che collega l’attività forense a quella di guida turistica ante litteram: il riferimento all’eloquenza spiccata, che sembra essere stata caratteristica, agli inizi del Settecento, di molte di coloro che si sostentavano facendo i ciceroni, per l’appunto.

Questo esempio, il fatto di aver parlato di un fil rouge, offre l’opportunità di tornare alla classificazione dei deonimi e di individuare al contempo il presupposto per la deonimizzazione.
Ossia ciò che fa sì che, ad un certo punto, un nome proprio possa ispirare una nuova parola entrando direttamente nella sua formazione.

Si tratta del fatto di possedere in sommo grado o comunque in maniera spiccata una determinata caratteristica.
Il passaggio da nome proprio a nome comune si basa infatti proprio sulla possibilità di individuare in qualcuno le caratteristiche tipiche di un prototipo N, che proprio in virtù di queste caratteristiche è rimasto impresso nella memoria collettiva.

Quando il passaggio è avvenuto, quando cioè si è persa la maiuscola, il nome può essere impiegato per indicare tutta la classe di individui in possesso delle caratteristiche di N.
Da Perpetua, quindi, a la perpetua, che di nome può fare Gianna o Caterina o Francesca.

Dal punto di vista della linguistica però le forme più interessanti sono quelle in cui il nome proprio entra come base nella creazione di nuovo lessico, che viene ottenuto attraverso i processi di derivazione (che per intenderci sono quelli che da tavolo ci fanno ottenere tavolino) o di composizione (tangentopoli per indicare ‘la città delle tangenti’ dall’unione di tangenti + -poli).

Per esemplificare queste tipologie vorrei spostarmi in ambito contemporaneo e trarre spunto dalla cronaca: politica e calcistica innanzi tutto.

Il tanto parlare di calcio e di politica e la necessità di coniare termini dotati di grande espressività e connotatività, che riescano ad imprimersi nella mente di chi li ascolta, ha condotto, in particolare negli ultimi anni, ad un incremento senza precedenti dell’attività neologizzante.
Soprattutto di quella deonimica.

Per parlare del “modo di parlare” di un politico, ad esempio, si potrebbe usare agevolmente l’espressione la lingua di, il modo di parlare/di comunicare/ di esprimersi di N.
Ma in luogo di queste locuzioni risulta molto più facile ed efficace parlare, ad esempio, di prodese o di mastellese o di berlusconese.

Tutti ricorderanno le intemperanze di Antonio Cassano prima nella Roma di Capello poi in Nazionale.
Ebbene, più di qualunque giro di parole, l’espressione cassanata si è prestata a trasmettere l’idea del gesto furbesco che generalmente procura degli svantaggi a qualcuno, nel caso di Cassano alla sua stessa squadra.

La parola ha avuto così fortuna da diventare una voce dell’edizione inglese di Wikipedia, oltre che di quella italiana, e da essere ripresa anche dallo spagnolo, che se ne è servito non appena Cassano, passato al Real Madrid, si è reso protagonista di altre cassanate.

La vera capacità di infiltrazione del termine si misura però non solo dalla frequenza d’uso in una certa epoca. O almeno non solo.
Una volta “sensibilizzata” alla cassanata, al suo significato ben connotato, i parlanti si sono serviti del modello sottostante cassano + -ata, e a partire da quell’-ata hanno prodotto nuove forme impiegando come base altri nomi di giocatori o di politici.
E si tratta di una lista davvero bipartisan, che va dalla prodata alla berlusconata, dalla mastellata alla bertinottata, alla gasparrata e così via per decine di forme destinate ad aumentare.
Certo, pochissime di queste forme sopravvivranno dopo una fase di più o meno diffusa fama e a motivo di ciò difficilmente troveranno accoglimento in un vocabolario di carta.

Ma il vocabolario di carta, per quanto esteso, e aperto alle testualità più disparate, non rappresenta che una selezione del lessico mentale del parlante.
Ed è lì che risiede il modello Nome proprio + -ata in attesa di dare vita a nuove parole.

Mi piacerebbe però chiudere con un deonimico d’autore.
Tutti sanno cosa si intende per amore platonico: un amore fatto di parole e pensieri, di gesti casuali. Mai tangibile, mai materiale.
E tutti sanno che per esprimersi al fatto di provarlo, alla condizione in cui ci si trova provandolo, la lingua deve ricorrere ad un giro di parole.

Orbene, per descrivere lo stato, la condizione di chi prova questo sentimento, è stato coniato nel 1994, partendo dal Platone alla base di platonico, platonia

Non è un sì, non è un no.
Sembra un gioco di magia… Platonia

Il deonimico è di Franco Califano, il cantautore romano, e mi è apparso bello chiudere con questa citazione per dimostrare come l’attività deonimica si presti a dar nuova voce tanto a significati nuovi, tanto a significati vecchi come il mondo”.