“Il riposo del guerriero” del 4 marzo 2012
Con etimologia nel mondo greco ci si riferiva, in senso stretto, al ‘discorso sul vero’, un vero inteso come persistenza, nella parola, di una o più qualità proprie della “cosa” designata, coerentemente con un approccio fondato sul fatto che il linguaggio fosse “per natura” e non “per convenzione”, come invece si teorizzava nella filosofia epicurea.
La linguistica moderna ha ereditato questa pratica dal latino, che però aveva rinunciato a farla realmente propria, accontendandosi per lo più di individuare degli antecedenti greci per i propri verba e di partecipare in tal modo della grandezza culturale riconosciuta a quella lingua, cui si arrivò a guardare, sbagliando, come a una lingua “madre” e non “sorella”. Diversamente sarebbe risultata sospetta l’assenza di una parola autoctona per riferirsi alla pratica etimologica, un termine del tipo di veriloquium, attestato ma nel complesso privo di riscontro sul piano dell’uso.
Ciò che a dispetto dei secoli che passano continua ad appassionare i linguisti e, forse ancora di più, i parlanti “semplici”, è l’esigenza di rispondere, ciascuno con i mezzi a propria disposizione, all’interrogativo sul perché una parola “sia (fatta)” in un certo modo. Risposta che ingenera un procedimento che, pur non essendo sempre corretto, ricalca i modi della ricostruzione etimologica (e che a ragione di ciò viene classificato come paretimologico).
Innumerevoli sono gli esempi che si potrebbero fare, gli uni comprovati nell’ambito della linguistica romanza o latina o persino indoeuropea (con un tasso di probabilità di esattezza che decresce man mano che si procede a ritroso nel tempo), gli altri sperimentati nell’ambito della propria esperienza, come nel caso di Water Current in luogo di Water Closet da me invocato (nella puntata del Guerriero a cui si riferisce questo post) per sciogliere l’acronimo WC; una falsa etimologia supportata dalla maggiore contiguità del bagno, nella mia esperienza di parlante, con la ‘fluenza delle acque’ (current) più che con la ‘cabina’ (closet).
Quando correttamente praticata, l’etimologia consente invece di risalire i percorsi a volte tortuosi della storia linguistica e di giungere a comprendere ad esempio che, malgrado il salto concettuale, christiano e cretino sono la stessa parola e che il collegamento tra i due significati è stata verosimilmente una esclamazione compassionevole, equivalente grosso modo a “Poveruomo!”, pronunciata per l’impressione suscitata dalla visione di uomini delle valli alpine con un gozzo più che prominente.
Oppure che l’antecedente non attestato ma necessario per l’italiano fratello non è il latino frater, che nella nostra lingua si è mantenuto ma con significato ristretto (cfr. it. frate), bensì il diminutivo (probabilmente affettivo) *fratellus.
E concretamente?
Chi volesse cimentarsi con la pratica etimologica, potrebbe senz’altro avvalersi dei repertori lessicografici disponibili per le varie lingue. Nel caso della lingua italiana questi repertori vantano una grande tradizione e un grado notevole di accuratezza. A repertori del calibro di GDLI (“Grande dizionario della lingua italiana” noto anche come “il Battaglia” dal suo primo e principale curatore) e di LUI (“Lessico universale italiano di lingua lettere arti scienze e tecnica” di Treccani) si aggiungerà, nelle previsioni nel 2032, il prestigiosissimo e attesissimo LEI di Max Pfister, iniziato nel 1968 e oggi alla lettera D (ancora non completa benché siano stati redatti 12 volumi).
Questi repertori sono di grande aiuto e sicuramente risolutivi per l’etimologia intesa come storia della parola (histoire du mot) ma non sempre decisivi, almeno in senso stretto, per quella della radice (histoire de la racine).
Ciò perché alla fine del percorso ricostruttivo ci si può trovare ad avere a che fare con
– etimi sconosciuti (benché di parole in uso ininterrottamente da più di due millenni, come nel caso del greco thesauros e del latino rosa)
– etimi con significato sensibilmente diverso rispetto a quello atteso sulla base dell’italiano
– etimi con un significato compatibile con quello atteso ma con una forma che non ricalca quella attesa
Per superare questa condizione la sola via praticabile risulta quella di integrare il dato linguistico con quello culturale.
Non essendo la parola un’entità algebrica, bensì un elemento che sostanzia la comunicazione tra le persone e che si sostanzia dei significati e dei sensi con cui le persone la usano, in assenza di compenetrazione del dato linguistico con quello culturale e/o fattuale non si riuscirebbe a cogliere, ad esempio, la differenza tra due verbi latini entrambi tradotti con ‘condurre’, ma che rispecchiano invece due forme di conduzione concettualmente opposte: agere e ducere, il primo (il cui radicale è presente in it. agenzia, agibile, agente, attore) indicante l’azione di ‘condurre spingendo da dietro’, l’altro di ‘condurre portandosi dietro gli altri’ (cfr. it. conduzione, duce).
Rispondi