“Il riposo del guerriero” del 10 giugno 2012
Nei 33.000 anni che sembrano essere trascorsi, stando ai resti fossilizzati, dal primo addomesticamento di un canide di cui si abbia conoscenza (il dato è riportato in uno studio archeozoologico pubblicato su PLoS ONE i cui contenuti sono stati rimbalzati innumerevoli volte dalla Rete per il comprensibile interesse che suscitano), o anche solo nei 14.000 anni che ci separano dall’attestazione della prima specie domestica di cane, o ancora, da quando si può parlare di storia – dall’introduzione, quindi, della scrittura – innumerevoli sono stati gli usi (mitici, letterari, magici, etc.) e le forme assunte dal fido amico dell’uomo nelle diverse culture.
Un discorso solo in parte analogo – si parla infatti di epoche assai più recenti – si potrebbe fare per il gatto, che in epoca moderna costituisce, insieme al cane, l’animale addomesticato per eccellenza.
La lunga e intensa vicinanza di cani e gatti e uomini, dalla quale scaturisce un rapporto quotidiano fitto di interazione, alimenta da tempo numerosi interrogativi circa le modalità comunicative intraspecie e interspecie: cani e gatti, insomma, come comunicano tra di loro? E con l’uomo?
Questo intervento cercherà più che di dare delle risposte – la questione è davvero complessa e coinvolge scienze assai diverse – di mettere in evidenza dei nodi fondamentali della questione della comunicazione animale, comunicazione contigua a quella umana, di Sapiens-sapiens, se si guarda alle specie cosiddette superiori (i primati antropomorfi – macachi, cercopitechi, etc. – tra tutti), meno apparentabile ma assai di più di quanto si potrebbe ritenere se si guarda ai nostri amici a 4 zampe.
Come sempre quando mi capita di dover tratteggiare in breve questioni tanto complesse, dirò preventivamente a cosa farò riferimento e cosa invece non tratterò affatto.
Non tratterò di rapporto tra comunicazione animale e pensiero, un argomento stimolante almeno quanto complesso, dal momento che se a lungo si è ritenuto che gli animali fossero privi di pensiero in quanto incapaci di servirsi di un linguaggio, quale quello verbale, capace di “dare forma” alla massa altrimenti informe del pensiero, oggi, grazie ai progressi in numerose discipline, si ammette abbastanza tacitamente la possibilità che si possa pensare anche in assenza di competenza linguistica (questa ammissione risolve contemporaneamente la questione del pensiero nei neonati o comunque negli infanti, assimilabili agli animali per assenza di competenza sul linguaggio verbale). Proprio perché non ho modo di trattare di questo affascinante argomento, lo darò per assunto e passerò in tal modo a considerare come gli animali domestici comunicano tra di loro e con gli umani con i quali vivono.
Anche in questo caso sarò breve e rinvierò alla folta bibliografia che negli ultimi decenni si è accumulata sull’argomento.
Prendiamo, per cominciare, il caso del gatto: studi in ambito etologico (l’etologia è la scienza che osserva e analizza i comportamenti delle diverse specie) hanno dimostrato che il gatto è in grado di usare due forme di comunicazione differenti, a seconda che gli interlocutori siano della stessa specie o di un’altra specie, nella fattispecie umani. Più esattamente, hanno osservato che gran parte della comunicazione del gatto si basa sul corpo (movimenti e posizioni della coda, delle orecchie, del dorso, del corpo nel suo complesso, sprigionamento di ormoni) e sulle espressioni del volto e che l’uso dei miagolii è riservato quasi esclusivamente alla comunicazione con i cuccioli e con gli umani.
La vera sorpresa si è però avuta negli anni 30, quando una ricercatrice ha per la prima volta registrato e in tal modo dimostrato la possibilità per le gatte di miagolare in 16 modi diversi, un numero che recentemente, grazie allo studio diun’altra ricercatrice, ha toccato quota 30: un miagolio solo dunque, alle orecchie di chi non presta attenzione, alcune decine di miagolii per chi decida di porsi all’ascolto analogamente a quanto si farebbe con una lingua straniera molto diversa per fonetica dalla propria.
La specificità comunicativa di ogni forma di miagolio non lascia spazio a dubbi circa la volontarietà alla base dell’impiego di ciascuna forma di “vocalizzo” da parte degli esemplari adulti, che in tal modo dimostrano di saper adeguare la produzione del segnale agli scopi che intendono perseguire.
C’è però chi si è spinto ancora oltre, ipotizzando che anche per il linguaggio dei gatti possa sussistere la possibilità di una doppia articolazione, ovvero di quella caratteristica finora ritenuta strettamente propria del linguaggio verbale (e quindi caratteristica solo umana) e che consiste nel combinare suoni per ottenere mattoncini più ampi a loro volta ulteriormente combinabili al fine di ottenere parole (i suoni costitutivi di c-a-n-e, – suoni privi di significato ma in grado di apportarne che in fonetica si indicherebbero [k a n e] -, si combinano prima in [#kan + e#] e poi in cane, dove il contenuto tra queste ultime parentesi indica l’esistenza di “blocchi” inferiori alla parola non per questo non dotati di significato: kan- indica infatti l’appartenenza alla famiglia dei canidi, l’addomesticamento, la fedeltà all’uomo, il quadrupedismo, etc. e –e il maschile singolare). Se in futuro questa possibilità fosse dimostrata, ci troveremmo innanzi a porzioni di miagolii base privi di significato che si combinano tra di loro dando luogo a miagolii più complessi, significativi.
La vera sorpresa in tempi recenti è però arrivata dallo studio della comunicazione dei cani, dal momento che l’etologia ha dimostrato che il cane è in grado di ricordare e distinguere le parole, arrivando ad accumulare un dizionario paragonabile a quello medio di un bambino di due anni.
Se ciò, per un verso, non equivale ad affermare che un cane parli, dall’altro impone di ammorbidire la convinzione che solo l’uomo sia in grado di comprendere il linguaggio verbale e che proprio questa unicità gli garantisca la superiorità rispetto a tutte le altre specie.
Gli esperimenti condotti su centinaia di esemplari hanno dimostrato che con l’allenamento il riconoscimento di parole da parte di cani possa aumentare, anche sensibilmente, e che sia parzialmente possibile anche addestrare il cane al riconoscimento di nuove unità significative. La comprensione non passerebbe pertanto soltanto attraverso l’abitudine all’intonazione tipica dei comandi, delle richieste, della comunicazione affettuosa tra uomo e cane, ma fonderebbe, seppure in maniera limitata, competenza su dato non verbale e verbale.
In attesa di nuovi, appassionanti sviluppi, chiuderò questo post con alcuni proverbi e modi di dire incentrati su cani e gatti, rimandando al post 39 di Tuttopoli per una lista più ampia di modi di dire relativi al gatto o alla gatta. Differentemente da quanto accade per la maggior parte degli animali che usano una stessa parola sia per l’esemplare maschio sia per per l’esemplare femmina, nel caso del gatto è significativo che si sia prodotta una vasta produzione di locuzioni incentrate sull’uno o sull’altro. Una produzione che sarebbe interessante compulsare nel dettaglio per capire quali caratteristiche siano attribuite precipuamente al maschio o alla femmina di gatto dall’uomo.
Passiamo alla lista, iniziando dal cane.
– battere il cane al posto del padrone (prendersela con qualcuno di meno potente invece che con il diretto interessato)
– essere cane da pagliaio (fare minacce a vuoto; promettere e non mantenere)
– essere cane e gatto (essere nemici irriducibili)
– essere un cane (persona spregevole; incapace)
– figlio di un cane (persona spregevole)
– fortunato come un cane in chiesa (molto sfortunato)
– lavorare come un cane (in maniera indefessa, molto al di là della media)
– menare il can per l’aia (perdere tempo in cose inconcludenti; in origine il modo di dire si riferiva forse all’inutilità del portare un cane da caccia nell’aia)
– morire come un cane (morire solo e abbandonato)
– (essere) solo come un cane (di significato analogo al precedente, il modo di dire prende probabilmente spunto dall’atteggiamento mesto mostrato dal cane che vaga solitario)
– non svegliare il can che dorme (non stuzzicare chi solo in apparenza potrebbe essere mite)
– portare rispetto al cane per amore del padrone (adulare qualcuno per ingraziarsi un potente al quale questo qualcuno è vicino)
– raddrizzare le gambe/anche ai cani (cimentarsi in imprese assurde)
– stare come il cane alla catena (stare controvoglia in una condizione; essere impotenti)
– trattare qualcuno come un cane (trattare qualcuno con disprezzo, maltrattare)
– cane non mangia cane (tra simili non ci combatte)
E, assai meno noti,
– tanti cani uccidono il lupo, un cane solo ulula alla luna
– chi va a caccia senza cani, torna a casa senza lepre
– a cattivo cane corto legname
– taglia la coda al cane, e resta cane
– tristo quel cane che si lascia prendere la coda in mano
– chi teme il cane si assicura dal morso
– cane vecchio non abbaia invano
– cane amoroso, cane velenoso
– il cane rode l’osso perché non lo può inghiottire
– can ringhioso e non forzoso, guai alla sua pelle
– se prendi un cane che muore di fame e lo ingrassi, non ti morderà. (“E’ questa la differenza principale tra un cane e un uomo” Mark Twain)
– la gelosia è un abbaiare di cani che attira i ladri (Karl Kraus)
Gatta
– tanto va la gatta al lardo che vi lascia lo zampino/ la gatta tanto s’avvezza alla pappa che si scotta la bocca e la gargarozza / la gatta tanto s’avvezza alla pappa che vi lascia la zampa (prima o poi le azioni malvage vengono punite)
– parlare il francese come una gatta spagnola (avere una pessima pronuncia di una lingua non propria)
– avere/prendersi una bella gatta da pelare (avere una incombenza complessa da sbrigare)
– comprare la gatta nel sacco (comprare a occhi chiusi, senza controllare)
– quando il gatto non c’è i topi ballano
– la gatta grassa fa onore alla casa
– gatta che fa toletta, acqua aspetta
– la gatta frettolosa fa i gattini ciechi
Curiosità: gattabuia non c’entra nulla col gatto. L’etimo è da riconnettersi con il greco katògeion ‘sotterraneo’ (che in alcuni dialetti meridionali ha lasciato catoio), unito a buio, grosso modo con lo stesso significato
Gatto
– non dire gatto se non l’hai nel sacco (diventato celebre in Irlanda per il trapattoniano “Don’t say cat is in the cat”)
– cantare come un gatto (essere stonato)
– ogni gatto ha il suo gennaio (prima o poi tutti si innamorano)
– stare a spulciare il gatto (invecchiare da zitella stando in casa)
– al gatto vecchio dagli topo tenero (per riferirsi ad un uomo anziano che sposa una donna molto più giovane di lui)
– attaccare il campanello al collo dei gatti (per indicare un’impresa difficile da realizzare)
– insegnare ai gatti a rampicare (ovvero pretendere di insegnare a chi sa conosce bene una cosa)
– andar dal gatto per la sugna (come nel caso precedente, indica un’impresa difficile da realizzare)
– cadere/cascare/saltare come i gatti (cadere dritto, cavarsela in ogni situazione)
– avere il gatto nella madia (e non da mangiare, ovvero vivere in povertà)
– avere sette vite/spiriti/anime come i gatti
– essere (amici come) cane e gatto (in continua discordia)
– giocare come il gatto col topo (alternare cortesie e maltrattamenti per procurare all’altro il maggior danno possibile)
– comprare gatto in sacco (a occhi chiusi, senza controllare)
– avere dentro di sé un gatto che graffia (sentirsi turbato o tormentato)
– avere/portare sotto il gatto (avere intenzioni malvage al di là dell’aspetto mite)
– tanto va al lardo il gatto che ne resta al fin disfatto (alla fine il male viene sempre punito)
Curiosità a 4 zampe in pillole
Il gatto delle nevi è un cingolato americano così chiamato per la bassa pressione che esercita sul terreno
Il gatto a nove code è uno staffile usato in Inghilterra per percuotere i malfattori costituito da un bastone e da 9 strisce di cuoio attaccate ad una delle estremità
L’ailurofobia è la paura incontrollabile dei gatti
Si usa gattobagnato per indicare la persona avvilita, scoraggiata
Per il bambino che ancora non cammina ma che si muove da quadrupede si usa gattonare dal gatto
Il vino rosso e pregiato noto come Gattinara non c’entra nulla col gatto; trae infatti nome dal comune di Gattinara, vicino a Vercelli
Per dire miagolare si usa anche gattillare; per dire miagolio si usa anche gnaulio
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