“Il riposo del guerriero” del 14 aprile 2013
Di eredità latina ma di etimo remoto sconosciuto, l’attestazione di gatto è ininterrotta per tutta la storia della nostra lingua.
Per quanto riguarda il latino, sembra che il termine più antico che denotava questo animale fosse feles, che la nostra lingua ha mantenuto nell’aggettivo felino (forma pressoché esclusiva di aggettivo di relazione: il concorrente gattico, analogico su gatto, è pochissimo diffuso nell’italiano contemporaneo) e che in latino è stato scalzato con la diffusione del gatto domestico chiamato cattus o anche gattus.
Il fatto che l’etimo sia sconosciuto e che la diffusione della parola coincida con l’introduzione del gatto domestico ci fa pensare che si tratti di una importazione dall’estero, da una lingua e cultura non identificabile con precisione. Troviamo forme della stessa parola anche nelle lingue celtiche (dove Cattos si trova anche in funzione di nome proprio), in quelle slave e in quelle germaniche. Tutti questi fatti sono interpretati ora come indizio della provenienza dal mondo celto-germanico, ora dall’Africa, ora dalla Siria per via della presenza nell’armeno antico di una parola molto simile a quella del latino.
Ciò che interessa a noi è che benché l’introduzione del termine sia avvenuta abbastanza tardi nel mondo romano, una volta insediatosi il vocabolo non ha mai conosciuto crisi.
Ci sono però nella nostra lingua anche forme meno diffuse per chiamare il gatto o riferirsi ad esso in forma aggettivale o in altre forme ad esso correlate.
Penso a gnaulio, esito onomatopeico alternativo a miagolio, a gattillare per miagolare, o al modo in cui ci si riferisce ad esso in ailurofobia, ‘la paura del gatto’, o nel suo contrario, ailurofilia, ‘l’amore folle per il gatto’, entrambi dalla parola greca ailouros.
Esaurita questa brevissima premessa etimologica passerò ora a considerare alcune forme in cui il gatto o una delle sue caratteristiche sono richiamati per riferirsi a una persona.
Penso a gattobagnato, per indicare una persona sfiduciata, scoraggiata, a fare il gattone, locuzione che ha diversi significati tra cui quello di ‘fare il finto tonto’ e a fare il gatto cieco o fare il gattuccio cieco, per dire che non si è riusciti in ciò che si era tentato di fare, fare i gattini per ‘rigettare’; il riferimento ai cuccioli di gatto è presente anche in la gatta frettolosa fece i gattini ciechi, il cui significato è perspicuo, in i gattucci hanno aperto gli occhi, per indicare che anche i più sprovveduti con il tempo si avvedono e in un proverbio meno noto quale canini e gattini e figliuoli di contadini sono bellini quando sono piccinini, per indicare la bellezza diffusa in tenera età. Gattonare indica invece il modo di camminare tipico dei bambini che non hanno acquisito ancora la posizione bipede e gattonata la camminata di quel tipo; gattigliare il litigio aspro e rumoroso, che ricorda quello dei gatti che si azzuffano.
Le virtù amatorie del gatto sono ricordate anche in andare in gattesco, ‘andare a donne’ (lo stesso gatto si trova impiegato per indicare lo sciupafemmine oltre che la persona astuta, maligna, dissimulatrice, etc.). Quelle della donna allumeuse in fare la gatta morta.
Gli uni e gli altri farebbero però bene a ricordare che tanto va la gatta o il gatto al lardo… che ci lascia lo zampino…
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