“Cose dell’altro Geo” del 9 novembre 2011

L’idea di adottare parole della propria lingua a rischio di estinzione muove da un appello lanciato, nel 2007, dal premier spagnolo Zapatero, preoccupato dalla scomparsa (dalle pagine del Dizionario della Real Academia Española) di 6.000 vocaboli solo tra il 1992 e il 2001.

Lo stesso Zapatero adottò una parola, andacio ‘malattia epidemica lieve’, e sulla scorta del suo esempio nel giro di pochi giorni arrivarono – dalla Spagna e dai paesi di lingua spagnola – diverse migliaia di proposte di salvataggio.

In Italia una proposta analoga è stata promossa, nel corso del 2008, dalla Zanichelli, che nel salvataggio delle parole in via di estinzione individuava un perfetto complemento all’introduzione di neologismi del vocabolario.

Di recente il progetto è tornato agli onori delle cronache grazie ad un gruppo di utenti Facebook, che ha deciso di dare seguito alla proposta di salvataggio rilanciata della società Dante Alighieri, e, soprattutto, al conseguente inevitabile rimbalzo mediatico provocato dalla notizia.

La lista delle parole ad oggi proposta per la missione salvifica è eterogenea e comprende parole letterarie, auliche, dialettismi, forme obsolete. Altrettanto eterogenee sono le ragioni che spesso accompagnano le singole proposte, alcune maggiormente condivisibili, altre meno.

La mia proposta, rispetto al pregresso, comprende la ricostruzione di un percorso etimologico a tutto tondo che possa integrare la ricostruzione etimologica prossima (gli usi della parola nel corso della storia dell’italiano) e quella remota (la radice originaria), così da focalizzare le diverse accezioni, i diversi usi (tra cui quelli eventualmente errati) e le possibili ragioni del disuso.

Le prime quattro parole, scelte tra quelle più segnalate  

La discussione introduttiva in sintesi

Perché proprio queste parole tra quelle finora segnalate?

Perché in 2 casi su 4 (coatto e piuttosto che) la proposta di salvataggio incarna un sentimento comune a parlanti molto diversi per variabili socioculturali

Come scegliere tra le varie proposte di salvataggio, di quale criteri servirsi?

La frequenza della segnalazione, ovviamente, ma anche le ragioni addotte dal parlante per il salvataggio

Che peso hanno l’età o il grado di istruzione o la provenienza del parlante nella scelta delle parole da salvare. Insomma, due parlanti di età, estrazione e/o provenienza diversa, con che probabilità indirizzerebbero la loro attenzione sugli stessi termini?

L’incidenza di questi fattori è varia e va ponderata. Certamente è interessante, laddove possibile, tratteggiare l’identikit del parlante che propone certi salvataggi. Ci potrebbe essere l’eventualità di convergenze generazionali oppure relative al grado di istruzione ravvisabili nei promotori di una certa forma. Insomma, che tipo di sensibilità dimostrano gli adolescenti? E le persone di una certa età? E quando da una segnalazione non si possono ricavare queste variabili?

Come agire concretamente per salvare una parola?

E’ fondamentale il supporto di chi opera nei mass media per la diffusione di registri più alti di lingua e per la salvaguardia di lessico meno usurato

PRIMA PROPOSTA 

Obsoleto: ‘fuori moda, sorpassato, caduto in disuso, antiquato’. Se riferito ad una parola sta per ‘desueto, caduto dall’uso’

Poliziano (XV sec.) 5-250: Io allego qualche autorità in favore di quelle parole e figure che alcuni chiamano obsolete.

In senso figurato si trova attestato anche in riferimento a chi pratica idee politiche retrograde (reazionario). Recentemente una ripresa dell’uso dell’aggettivo si è avuta in riferimento alla rapidità di obsolescenza (!) delle tecnologie informatiche.

L’antecedente latino, obsolescere (obsolesco, is eui, etum, ere), è secondo alcuni da riconnettere all’incoativo solesco da solere ‘essere solito’ (il composto in questo sarebbe perciò da dividere in *ob-solesco), secondo altri a *obs-olesco ma nessuna ipotesi è sufficientemente accreditata e c’è chi preferisce parlare di etimo (e storia) oscuro. Personalmente propendo per la derivazione da solere > solescere.

Curiosità: il termine era poco usato già in latino

SECONDA PROPOSTA

Abbacinare: nel linguaggio comune sta per ‘abbagliare, accecare momentaneamente’; al riflessivo, abbacinarsi, per ‘accecarsi momentaneamente’, ad esempio fissando il sole o una fonte di luce intensa. Il termine ha un’origine specialistica, si riferisce infatti ad una antica pratica avente a che fare, come suggerisce l’istinto del parlante, con un bacino. Più specificamente, con la pratica del supplizio inflitto producendo l’accecamento del condannato per avvicinamento ad un bacino rovente. Per bacino si intendeva un piatto di metallo rovente, ad esempio d’argento.

S. Caterina da Siena (XIV sec.), V-141 Per lo caldo e lustro del bacino si dissecca la pupilla, e perde il vedere.

L’etimo di bacino viene individuato in un lat. tardo della Gallia bacchinon (in Gregorio da Tours, VI d.C.) da cui la forma volgare (ricostruita in quanto non attestata ma necessaria a spiegare gli esiti successivi) *baccinum da cui fr. ant. bacin e bassin (fonte: GDLI)

TERZA PROPOSTA

Coatto: l’accezione da salvare non è ovviamente quella di ‘termine gergale d’origine romanesca atto a indicare individuo, normalmente giovane e borgataro, dal comportamento e dall’abbigliamento volgare e arrogante’ registrata anche dall’edizione on-line di Treccani e datata dal GRADIT 1983. L’accezione cui ci si riferisce è quella di ‘imposto a forza, reso obbligatorio da una autorità’, dal lat. coactus participio di cogere ‘costringere’ attestata già nel XIV secolo.

Nella trasgressività e nello stile di vita talvolta al limite della legalità – quando non direttamente di stampo malavitoso – del nuovo coatto potrebbe forse individuarsi il collegamento con il vecchio coatto, più esattamente nell’accezione ‘chi è stato condannato a trascorrere un periodo di domicilio coatto per ragioni di pubblica sicurezza’ (in Gramsci, ad esempio). Per estensione il termine ha preso, come si è detto, anche l’accezione di ‘volgare, rozzo’, perdendo completamente il riferimento alla costrizione e andando a costituire una variante di tamarro (‘venditore di datteri?’), di origine probabilmente araba e diffuso nelle regioni meridionali.

Nella stessa famiglia lessicale troviamo coattazione ‘ripristino di una funzione’ (in medicina di una articolazione) e coattivo ‘forzoso, costrittivo, che ha forza di obbligare’ e coazione ‘costrizione’ nella lingua comune (non dal participio, però). Nel gergo burocratico si riferisce ad azioni costrittive imposte da un’autorità. Un esempio è la rimozione coatta di un veicolo.

QUARTA PROPOSTA

Piuttosto che: l’accezione da salvare è quella di elemento che introduce una comparazione per lo più tra concetti fortemente contrapposti e alternativi. In questa funzione il piuttosto è accompagnato dalla congiunzione che seguita da un complemento di paragone o da una frase comparativa, come previsto dall’antecedente latino plus quam che, in alternativa a magis quam, esprimeva la comparazione cosiddetta di maggioranza. Con questa accezione l’avverbio piuttosto che si trova impiegato anche in Brunetto Latini (XIII sec.) e in Dante.

Il corretto impiego della funzione comparativa (rimasta intatta per secoli) si trova oggi ad essere messo in pericolo dalla massiccia diffusione di un piuttosto che di matrice nordica (probabilmente si tratta di un lombardismo), originariamente regionalismo diffuso nei registri delle classi agiate (O. Castellani Pollidori) ma divenuto dilagante per effetto dell’impiego da parte degli operatori dei mass media (radio, televisione). In questa nuovo accezione il sintagma perde completamente il riferimento comparativo e passa a svolgere funzione di congiunzione disgiuntiva, giungendo persino a minare la comprensibilità dell’enunciato (cosa che costituisce un paradosso, visto il massiccio impiego da parte, come si è detto, dei comunicatori).

Non resta che augurarsi che la Castellani Pollidori abbia ragione quando, dalle pagine del sito della’Accademia della Crusca, afferma che “Basterà avere un po’ di pazienza: anche la voga di quest’imbarazzante piuttosto che  finirà prima o poi col tramontare, come accade fatalmente con la suppellettile di riuso”. Il fatto che l’auspicio della linguista fosse del 2002, epoca dopo la quale non si è certo assistito ad una retrocessione dell’impiego del nuovo piuttosto che, non aiuta a stare tranquilli.

http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=3930&ctg_id=93

In sintesi:

SI: preferisco andare in treno piuttosto che in aereo

NO: non so se andare in treno piuttosto che in aereo