“Il riposo del guerriero” del 6 maggio 2012
“Esistono tradizioni, mestieri, credenze che stanno scomparendo, pezzi della nostra cultura che piano piano scompaiono per il passare del tempo ed il progresso”.
Così è stata introdotta la puntata del Guerriero di oggi. Vorrei soffermarmi su due parole, spesso troppo frettolosamente associate in un binomio: estinzione e progresso.
Estinzione, letteralmente ‘l’estinguere, spegnimento (di incendi, di cose che ardono); in senso figurato ‘il far cessare, il far scomparire; annullamento, abolizione, scioglimento, soppressione (di istituzioni, ordini) ma anche appagamento (ad esempio di un desiderio); il venir meno, cessazione, scomparsa (anche nel senso di perdita di forza, di intensità, attutimento); cessazione dalla vita, sterminio, distruzione’. Ci sono poi significati attestati nell’ambito di linguaggi specialistici, quali quello giuridico (estinzione di un debito, estinzione del reato), astronomico, edilizio (l’estinzione delle calci), geografico, marinaresco, medico e biologico. Ambito, quest’ultimo, che, per mezzo di locuzioni quali l’estinzione della specie e, soprattutto, animali o piante in via di estinzione, ha rivivificato la circolazione del termine anche nel linguaggio ordinario, dell’uso, dal momento che ha fatto da modello a una cospicua serie di forme costruite sostituendo al riferimento ad animali o a piante quello ad altre “realtà” (cose, comportamenti, pratiche, etc.) ritenute a rischio di scorparsa.
Tra queste parole – semplici, complesse, locuzioni e modi di dire – che per ragioni diverse hanno perso o stanno ancora perdendo mordente finendo per scivolare in un confinamento compreso in ambiti settoriali o comunque domini di uso poco estesi. Ma anche lingue o varietà di lingue – dialetti compresi-, a rischio di estinzione per ragioni che non sempre hanno a che vedere con il progresso, parola-chiave che nella sua semantica comprende tanto, e in prima battuta, il riferimento al passare del tempo, tanto il riferimento autocelebrativo agli avanzamenti nell’ambito delle scienze e delle tecniche, in nome del quale sono state spesso spazzate via conoscenze e pratiche non necessariamente obsolete o infruttuose.
La lingua, da questo punto di vista, può costituire una lente di ingrandimento che consente di mettere meglio a fuoco la perdita oppure risultare fuorviante, perché non necessariamente – e, per certi versi, per fortuna – alla perdita di una “cosa” fa seguito la perdita della parola che la contraddistingue.
Mi spiego meglio, passando così ad accennare alle cause che possono portare al disuso o all’estinzione.
Prendiamo il termine abbacinare, abbacinamento, una parola che è già capitato di trattare in un’altra occasione (cfr. post 27 di Tuttopoli) ma che voglio recuperare per due ragioni che vado a spiegare.
Nel linguaggio comune abbacinare sta per ‘abbagliare, accecare momentaneamente’; al riflessivo, abbacinarsi, per ‘accecarsi momentaneamente’, ad esempio fissando il sole o una fonte di luce intensa.
Le due ragioni per cui questa parola è sintomatica del rapporto non scontato tra realtà-lingua-parlante risiedono la prima nella sua origine specialistica, la seconda in quella che potremmo chamare la mappa emotiva del parlante, ovvero quell’insieme di suggestioni ed associazioni provocate nel parlante dalla pratica del termine.
Quanto all’origine, va rilevato che abbacinare si riferisce ad una antica pratica avente a che fare, come suggerisce l’istinto del parlante, con un bacino. Ma cos’è un bacino? Certo non il diminutivo di bacio: con bacino (dal termine del lat. tardo della Gallia bacchinon, attestato in Gregorio da Tours, VI d.C.) si indicava infatti un piatto di metallo rovente, ad esempio d’argento, per mezzo dell’avvicinamento del quale si infliggeva un supplizio, consistente nell’accecamento del condannato ai cui occhi l’oggetto era avvicinato (lo troviamo attestato ad esempio in S. Caterina da Siena (nel XIV sec.), V-141 Per lo caldo e lustro del bacino si dissecca la pupilla, e perde il vedere).
In questo caso, perciò, si è persa – per fortuna – la pratica a cui il termine si riferisce ma non il termine che, benché oggi in via di declino per frequenza d’uso, continua ad avere un discreto numero di cultori.
Ciò significa che le parole si possono perdere o non perdere in conseguenza della perdita di ciò a cui rinviano, ma che l’appaiamento di queste due dimensioni non va dato per scontato.
Quando si parla di parole in via di estinzione, l’associazione che scatta più immediata è però quella che rimanda a campagne di sensibilizzazione che assimilando la lingua alla fauna, portano a sollecitare interventi simili a quelli per la preservazione dei panda o di tutte quelle piante prese a emblema della necessità di salvaguardia della biodiversità.
E con biodiversità vado a chiudere questo intervento. Non perché in questa sede mi interessi analizzare il composto o la sua origine inglese, ma per quello che solitamente indica.
Se infatti esistono vari e importanti motivi per mantenere un’elevata biodiversità sia a livello nazionale che locale, se perciò la perdita di specie, sottospecie o varietà a detta di chi se ne occupa comporterebbe una serie di danni, allora dovremmo iniziare a riflettere più ancora che sulle conseguenze della perdita di intere lingue, sulle conseguenze, più sottili e pertanto subdole, della perdita progressiva, incessante e peggio ancora indifferente a molti, di vocaboli o accezioni di vocaboli.
Se infatti alla obsolescenza (da obsoleto, continuazione di una parola latina già poco usata in latino) di questi termini non corrispondesse la scomparsa di quanto indicano, ci si troverebbe con la necessità di riferirsi a queste cose con altri termini. Questa necessità porterebbe a nuove coniazioni (prive però di tradizione, di storia), a prestiti da altre lingue (molto più commercializzabili e perciò vantaggiosi per chi li propone) o, ancora, ad estensioni del significato di termini in uso e noti ai più. Eventualità che, se da una parte sembrerebbe avvantaggiare la massa, poiché la metterebbe in condizione di sfruttare risorse linguistiche di cui è già in possesso, dall’altra finirebbe per indebolirla, poiché il porgressivo allargamento della significatività di una parola non può che alimentare il margine di interpretazione a cui va soggetta quando impiegata.
La seguente lista di termini, ottenuta da un censimento tra studenti universitari del corso di laurea in scienze della Comunicazione, deve perciò far riflettere ancor più che sulla “questione linguistica” sulle conseguenze derivanti dall’incapacità di saper dare nome proprio a quanto qeusti termini indicano
Infiorescenza
Obsoleto
Dicotomia
Morigerato
Stolto
Concorrente (soppiantato da competitor)
Deiezione
Tracimare
Piaggiare
Abbacchiato
Cogenza
Cognazione
Marcescenza
Disco (molti bambini e ragazzi lo definiscono ‘cd grande nero’, non avendone avuto esperienza)
Corona (dell’orologio, sostituito da molti con manovella)
Abbacinare
Coatto (nel senso di ‘costretto’)
Uscio (in pericolo per la vicinanza fonetica a ingl. issue)
Contropiede (soppiantato da ripartenza nelle cronache calcistiche)
Cocotte (antecedente di escort)
Satollo
Venefico
Ineluttabile
Mendico
Di soppiatto
La campagna prosegue…
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